di Elena Novati
Le conoscete, le sacerdotesse? Sono quegli esseri umani (quantomeno bipedi) travestiti da timorate di Dio e zuccherini moralizzatori ambulanti. Sono quelle forme di vita che decidono, in quanto donne, cosa debba per forza piacere alle altre donne. A tutti i costi. Mi domando da un po’ di tempo quale sia l’interesse che le muove a dirti che «Se non ami la cosa tale, allora non sei una donna vera» o, nella versione più maldestramente sfumata, «Ma come? Proprio te che sei una donna dovresti capire!».
Posto e appurato che non tutti gli esseri umani identificabili come XY siano ugualmente sensibili alla tematica che a breve andrò a svelare, mi chiedo ancora una volta come sia possibile che il bisogno di pontificare a tutti i costi sia arrivato ad urtarmi più dell’herpes. L’essere umano che riesce a diventare più odioso dell’herpes labialis: non l’avrei mai detto.
Figli: impossibile non volerne. Bambini: impossibile non amarli in tutte le loro molteplici sfaccettature caratteriali.
Già il termine “impossibile”, accostato alle scelte altrui, mi provoca una leggera sensazione di prurito alle mani. Dire che «È impossibile tu non voglia un bambino/cane/gatto/panino/puffo» equivale ad affermare che io (o chiunque nella mia posizione), in questo momento, non credo in ciò che dico.
Ora, va bene il discorso sulla caducità della vita, sulle idee che cambiano, sulle fasi esistenziali delle persone, ma per quale strana ragione una persona non dovrebbe credere in quello che dice nel momento stesso in cui lo dice? La questione si fa tanto più irritante (per me) quando l’obiezione (logica, ca va sans dire) è seguita da un elegante: «Specialmente tu, da donna, dovresti capire questo desiderio». Mettiamo bene in chiaro una cosa: no, sottolineare l’appartenenza di sesso non rende valida la vostra obiezione; posso e devo accettare pareri differenti dal mio, ma non tollero la delegittimazione delle mie scelte sulla base di un luogo comune (in questo caso: l’appartenenza a un genere, quello femminile, che dovrebbe per qualche strana ragione obbligarmi a mettere al mondo figli e osannare le gioie della vita con pargoli).
Eppure, care le mie sacerdotesse, non si capisce bene da dove vi arroghiate il diritto, il lusso, di affermare che chi non ha o (sacrilegio!) desidera figli debba per forza essere affetto da un bug di sistema: esiste una bella coppia di termini, sostantivo+aggettivo, che risponde all’espressione di “libero arbitrio”. Fatene tesoro.
Non ho mai sentito di qualcuno che venisse a sfrangiarvi le gonadi per convincervi a non procreare, al contrario vedo continui inni alla banalità che ancora giovedì, 26 giugno 2014, mi hanno mandato il sangue alla testa.
«No guarda, io non ho pazienza, coi bambini mi annoio dopo poco e non sento così tanto trasporto. Non credo proprio riuscirei a crescerne uno (o più di uno), perché non ne ho voglia». Quale sarebbe il problema nell’ammissione di voler scegliere una vita senza figli? Ve lo spiegano subito gli psicologi da Facebook, gli psicologi da aperitivo impegnato o gli psicologi da ignoranza e grettezza mentale. Ve lo spiegano circa così: «Ma che donna sei? Come fai a non volere dei figli? Tu che sei donna dovresti capire cosa significa, mi chiedo come pensi di vivere… Così fredda, così arida dentro, ecco perché nessuno ti vuole».
Questa frase, sentita e letta già in quel migliaio di occasioni, mi è stata rivolta proprio ieri l’ultima volta (purtroppo ultima solo in ordine cronologico), oltretutto sotto forma di messaggio privato via Facebook.
L’accaduto rimane di per sé ai limiti del grottesco, perché quando una persona si permette di fare certe considerazioni può essere solo talmente ignorante da rendere inutile ogni tentativo di confronto, tuttavia mi viene da dire (con cattiveria purissima, ve lo preciso per dovere di onestà) che se tu fossi sterile, al contrario, l’umanità ne trarrebbe vantaggio.
In seconda istanza, è davvero un peccato che tu perda tanto tempo ad augurarmi una vita triste e sconsolata, in preda alla mia aridità umana: tutte le energie che metti nei tuoi proclami da testimone di Geova (mi è stato addirittura detto che Dio, quelle donnette come me, le brucia) invasato dal delirio pre fine del mondo, le potresti spendere dedicandoti ad azioni più remunerative per la tua persona.
Ti do generosamente alcune idee:
– apri una tua Chiesa personale, in cui potrai liberamente predicare e fare proseliti (ricordati, non paghi nemmeno la TASI/IMU/sfriz/sfruz/pinco pallo)
– levati quell’aria da timorata di Dio che tanto stona con quella scollatura da… mammifera (Dio vi vuole pudiche, no?): proprio te, che sei donna, non ti vergogni di mostrare così tanta carne in questo mondo di peccatori? Sento odore di pollo arrostito…ah no, aspetta, forse è Dio che ti sta bruciando.
– prendi in esame la possibilità di non abbigliarti come tua figlia, visto che hai 45 anni e tua figlia si potrebbe vergognare di accompagnarsi ad un cuneo che gira con l’ombelico di fuori.
Se ritieni che io sia prevenuta per aver accostato il particolare della scollatura alla tua natura di mammifera, mia cara, allora ho buone notizie per te.
Dedicato a tutti i bimbi che hanno, sfortuna loro, dei genitori imbecilli: vi auguro di crescere meglio di chi vi ha messi al mondo, confido in voi.
Devo spegnere il computer e rimettermi in cammino, Elena. Tocchi un tasto dolentissimo: ci sono donne che odiano – letteralmente – le donne che imboccano la strada della libertà. Quelle che decidono e non fanno ciò che – per fisiologia o cultura – si dovrebbe fare. Dovrai schivarne tante, di sacerdotesse. Fino a che un giorno, qualcuna – magari sotto mentite spoglie – non pronuncerà la fatidica frase: «Eh, tu non hai figli. Non puoi capire». Vedrai che succederà. Allora tu, mi raccomando, mantieni la calma e prenota subito un viaggio per una meta molto, molto lontana.
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essì, giusto ieri conversavo con la cameriera del ristorabte sulla spiaggia… eravamo in 2 a non capire. entrambe non abbiamo partorito, ma si sa che non è necessario farlo per essere madri. in ogni caso, da nullipare, ci si domandava com’è che un bambino di 2 anni dovesse stare sulla battigia col pannolino (oltre che le maniche lunghe e berretto da legionario). ‘il bambino si sporca’. già. ma siccome siamo nullipare, noi, non capiamo… comunque elena preparati: verso i 40 (e oltre, a me continuano a dirlo) cominceranno a dirti ‘GUARDA CHE FAI ANCORA IN TEMPO!’.
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Nullipare è un termine osceno. Con tutto il rispetto per chi ha/vuole figli, ritenermi nullipara credo sia la più bassa considerazione di me stessa che potrei mai avere. Nullipara è “non possedere nulla”, ma già il fatto di possedere una vita da vivere mi pare piuttosto rilevante: io non utilizzo il termine “nullipara” per motivazioni del tutto personali, come si può ben evincere da quel che ho detto poco sopra. Mi capita spesso di incontrare madri/padri/nonni fissati/e con l’idea di dover far trascorrere ai bambini un’esistenza sterile e lontana da ogni contatto fisico con qualsiasi essere vivente (e non). Personalmente lo trovo di una stupidità aberrante, segno della volontà di fare dei bambini semplicemente delle statuine obbedienti. Di contro, com’è giusto che sia, conosco altrettante persone capaci di far crescere i bambini donando loro la libertà e lo spazio d’azione che (ritengo) necessitano, proprio in quanto bambini. Per fortuna ho a che fare con parecchi genitori intelligenti 😉
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nullipara è termine tecnico, i medici (e non solo) lo usano per dire dello ‘stato’ degli organi preposti (e non solo). e nullipara più che non possedere nulla, è derivante da ‘parere’, partorire, e nessuno, non niente. così come primipara è colei che partorisce la prima volta. dopodiché, che vale giusto il vezzo di averlo cercato e lascia il tempo come lo trova, ‘Fiat autobus, l’uomo nasce libero’! e anche la donna (totò, in qualche modo, aiuta sempre :-)).
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a 40 anni dirò loro, comunque: “guardate che siete sempre in tempo per tacere!”. Spero sia sifficiente a troncare ogni considerazione stupida in merito al mio utero, in ogni caso mi sto attrezzando con risposte taglienti 😉
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Frizzante e tagliente il tuo articolo, cara Elena. A tal punto che ho qualche timore a darti qualche dritta di tipo serioso, ma lo faccio lo stesso: le donne ‘alternative’ (non è detto che siano più libere di altre ma hanno tutto il diritto di avere la libertà di essere alternative) hanno bisogno di ricostituenti. L’argomento non è da poco e ha suscitato un grande dibattito; a me hanno colpito e mi hanno fatto riflettere alcune letture: Lea Melandri, ‘Come nasce il sogno d’amore’ ed. Bollati Boringhieri, ma se vuoi qualcosa di più breve, tutti i suoi articoli sulla maternità (basta cercare su google Melandri/maternità, compresi quelli che posta puntualmente su La 27°Ora del corriere.it); la raccolta di interviste ‘Perchè non abbiamo avuto figli’ ed. F. Angeli; M. Piazza, ‘Attacco alla maternità’ ed. Nuovadimensione; un classico è della francese Elisabeth Badinter, ‘L’amore in più’ ed. Rizzoli e della stessa ‘Il conflitto. La donna e la madre’ ed. Flammarion. Ma se vuoi qualcosa di più ‘giovane’: E. Cirant, ‘Una su cinque non lo fa’ ed. F. Angeli; C. Susani e E. Stancanelli, ‘Mamma o nonmamma’ ed Feltrinelli. Solo dei suggerimenti, non prediche né anatemi!
Ma perchè non aprire un dibattito? Credo che ne valga la pena.
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Grazie per i consigli di lettura/informazione! Spero di poterli leggere tutti, davvero. Conoscevo Cirant (per via della tesi di laurea) e ho letto “Senza figli”, di Duccio Demetrio e Francesca Rigotti. Il tema in realtà è ampio e si presta amolte discussioni. Peccato io sia la prima, mea culpa, a rendermi conto di “scaldarmi” in fretta di fronte ad alcune esternazione come quelle citate nel pezzo. Ringrazio per i consigli di lettura davvero, vedrò di leggere il più possibile. Non li considero assolutamente né prediche né anatemi, semplicemente un aspetto della vita sul quale, ritengo, valga la pena soffermarsi. 🙂
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Non so se Elena lo dirà, però sul tema ha scritto la sua tesi di laurea magistrale…
Il dibattito è bello che aperto. Una magari scopre la penicillina, evita guerre mondiali, salva dalla carestia interi continenti… (anche meno va bene lo stesso). Poi un bel giorno, si trova di fronte qualcuna che – volendo tentare il colpo basso per le ragioni più varie – butta là: «Eh, tu non puoi capire. Non hai avuto figli». Sono, nelle intenzioni di chi le pronuncia, armi improprie che rivelano la tabula rasa del cervello nel quale la frase fatta si è formata. Le figlie, ma pure i figli, delle suddette partono svantaggiatissime e c’è del caso che non si ripiglino mai.
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Vero, ci ho scritto una tesi intera al riguardo. Un argomento che mi interessa da sempre in prima persona, ma soprattutto che mi interessa da “spettatrice”: mi è sempre piaciuto stare a guardare l’evoluzione delle vicende trattate in pubblica piazza. Non è ancora oggi molto facile parlare di childfree, c’è e permane una certa tendenza ad associare la donna allo status di madre con una percentuale che arriva sino all’80% in alcuni contesti. Purtroppo non esiste la consapevolezza di prendere atto della semplice e lecita scelta altrui riguardo il proprio futuro: se io non voglio essere madre, non vuol dire che debba per forza odiare i bambini. Sono due aspetti che difficilmente vengono scissi (solo per citarne alcuni) e trovo sia un peccato non riuscire a considerare le sfaccettature di una scelta di vita priva di figli alla luce dell’anno in cui viviamo.
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Scusate, scusate, ragazze! Ho dimenticato di firmare il mio commento (quello contrassegnato con profilo MaGia che ho modificato in Angela). Bene, bene, l’argomento è caldo!
Approfitto per aggiungere tutta la mia ammirazione per le bellissime immagini dai quadri di Klimt…sono ipnotiche e, in questo contesto, potenti.
angela
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