di Adele Colacino
Sono sola in casa, giro in tondo senza combinare nulla di utile. Due sere fa ho incontrato Giovanna, molti anni fa siamo state insieme a Cuba per case particulares e paladares.
Ne rimasi segnata a vita come il graffio del vaccino sul braccio alle scuole elementari, mi rimase nella testa e nel respiro un desiderio fortissimo di tornare.
Ogni qualvolta qualcosa mi va storto, mi asciugo l’anima dal pianto pensando: «Tanto, poi vado a Cuba».
Come tutte le volte, anche quella volta al momento di salutarci chiesi a Giovanna: «Ma quando torniamo a Cuba?». Forse era un momento di stanchezza del quotidiano, del tran tran della vita che, a volte, come il latte che esce dal pentolino sul fornello brucia e lascia l’odore antico nell’aria in cucina. Mi rispose: «Guarda, se ci sono occasioni buone, ci andiamo subito».
Tornai a casa, accesi il computer e feci un giro tra i vari motori specializzati in viaggi, poi rammentai quel che mi dice sempre Alejandro, «Conviene venire in primavera, poi con il caldo o l’umido non ce la puoi fare».
Accantonai ancora una volta il progetto. All’improvviso mi venne in mente che giorni addietro avevo rifiutato di partecipare a un tour organizzato per un giro in Ungheria.
Chiamai Giovanna e la trovai ancora a casa. «Giò, andiamo in Ungheria?». «Andiamo in Ungheria», rispose e io chiamai subito il presidente del gruppo organizzatore.
Erano rimasti due soli posti due. E non avevamo mai fatto un viaggio in tour organizzato.
Partenza il 31 di maggio, rientro il 6 di giugno: un programma ricco di visite, un albergo a 4****, guida tutti i giorni e bla bla bla. Era quello che ci voleva per noi. Un tour dal quale prelevare senza pensieri, portate in giro come pacchi, avremmo smaltito lo stress tenendo lontano sorprese negative.
Avvisammo i mariti al loro rientro: «Vado in Hùngaria», dissi al mio e Giò al suo. E loro risposero: «Molto bene!».
Era chiaro che anche loro avevano bisogno di dare uno spintone al ménage. Ci tolsero anche il fastidio di prendere l’autobus fino all’aeroporto di Lamezia Terme con le altre (c’erano alcuni uomini nel giro, ma così pochi e così muti e così anonimi da poter usare per una volta il genere femminile per tutti).
E mo’ vi racconto.
L’organizzatore è il presidente di una Associazione di militari in pensione, alla quale ci si può associare prendendo una tessera, anche se una divisa non è entrata in casa nemmeno a carnevale.
Lui non si è mai curato del gruppo, non aveva il “pinnacolo” per farsi seguire, non aspettava nessuno, scendeva dal pullman per primo , si cercava il tavolo migliore per ogni sosta alimentare.
Lamezia/Roma/Budapest – Budapest/Roma/Lamezia in 6 giorni.
Emil, la guida che parlava italiano, stava attento alle esigenze del gruppo, raccoglieva ogni richiesta e aspettava i ritardatari. Alle 17 la giornata era finita e io e le mie cinque amiche cominciavamo a divertirci.
Abbiamo utilizzato il tour per raggiungere le mete più distanti da Budapest: Balatonfüred, sulla costa settentrionale del lago Balaton, Esztergom, sulla riva destra del Danubio, al confine con la Slovacchia. Kecskemet, nella grande pianura ungherese, con pranzo alla Puszta e spettacolo equestre e giro in carrozza.

Adele con le sue amiche durante la “fuga” a Balatonfüred. Qui è nella versione islamica, causa raffreddamento
Tutto molto turistico e… ”penosetto”, ma ci siamo divertite molto perché per fortuna eravamo in sei streghe, anche se mi sono beccata un’influenza tosta che mi ha costretto una sera a letto con una orribile coperta marrone e pelosa e alcune tachipirine.
Accanto a me sul bus era seduta Giulia, settantasette anni di lingua affilata, prepotente, polemica. Non le stava bene nulla, nemmeno i limiti di velocità del bus che secondo lei andava piano, i bocchettoni dell’aria, il posto del mio ginocchio che doveva stare allineato al sedile davanti, il profumo che sentiva nell’aria. A suo dire ha girato il mondo e avrà dato spintoni per stare davanti, sempre, in ogni latitudine.
La signorina Ninì, piccola, magrolina, con una vocina che le usciva dalla gola, legando le parole una all’altra con un sospiro, e per punto di chiusura una risatina sommessa. Non ha mai superato il bisogno di accaparrarsi attenzione e come molti bambini ha scelto il cibo come strumento. Restituiva ai camerieri ungheresi ogni portata con la solita nenia: «noooo, togliere pomodorini dall’insalata mista, noooo, togliere pezzi di patata dalla zuppa ih ih ih».
C’erano le aristocratiche di provincia, quelle che respirano aria di potere all’ombra di mariti professionisti importanti in città. I capelli laccati come cuffie bionde, le perle sempre al collo, lo sguardo un po’ perso di chi all’improvviso si trova a dover gestire ore di quotidianità con il “popolo”, senza il solito corridoio preferenziale.
C’era Paola, membro di una cooperativa agricola di ragazze e ragazzi down, impegnatissima a rispondere al cellulare al suo amore Francesco che la chiamava in continuazione mentre lei gli spiegava paziente: «Amore devo chiudere, stai tranquillo che torno presto», riflettevo che in ogni situazione le donne stanno sempre un punto sopra.
Il cibo offerto dal tour era davvero, davvero, pessimo e abbiamo abbandonato subito le cene comuni, uscivamo e tornavamo tardi. Al mattino intorno ai tavoli della prima colazione aleggiavano sussurri di disapprovazione. Una sera ci siamo accorte che un gruppo, come volontarie dell’esercito della salvezza, ci seguiva per vedere dove andavamo, cosa combinavamo.
È stato alla fine come una gita scolastica fuori tempo, le parruccone recitavano il ruolo delle insegnanti severe, ma con la malcelata invidia di non saper cogliere l’occasione di scrollarsi di dosso un ruolo che fuori dalla cerchia abituale non le protegge, e poi le altre che spesso la Vita ha costretto a superare ostacoli dolorosi, ma che conservano sempre il rispetto della dignità propria e altrui: Rosa con il suo caschetto bianco e le ciocche fucsia; Aurora gentile e generosa, Carmen che con la sua risata fa apparire l’arcobaleno anche se fuori piove, Rosamaria allegra e burrosa che si ripromette diete ferree a partire da un domani che verrà; Giovanna con la rara capacità di trasformarsi da manager di ferro in monella allegra senza problemi ed io che di questa esperienza ho voluto raccontare.
AGGIORNATO IL 19 FEBBRAIO 2018
quasi che mi hai fatto tornare voglia di rimettere i piedi su un pullman… mi era sparita nel 1987, dopo la tratta estiva pero-chiaravalle centrale senza aria condizionata. potrei ricominciare pian piano con dosi omeopatiche, tipo da forlanini a cologno nord e vedere come va! se nel frattempo non ho sentito vomitare nessuno o lamentarsi di ginocchia e spifferi e lucine e puzze varie, allora ci posso in qualche modo ripensare! ma scriverlo mi ha già fatto scappare anche l’idea!
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Mi sono fatta delle risate, “passando” il racconto di Adele… Notte fonda, porte e finestre spalancate: io che ridevo… Chissà cosa avranno pensato i vicini… I tour organizzati sono quanto di meno creativo possa esserci sulla faccia della terra: una prigione di orari e di manie (altrui) che ti fa venire la voglia o di scappare (come ha fatto lei) o di rimanere tappata in camera (come ho fatto io quella volta che ho accompagnato Carlo in Egitto e solo l’idea che in vacanza ci fossero degli orari rigidi anche per fare la pipì mi scatenava un malumore…).
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