di Adele Colacino
Mi avevano assegnato un angolo appena fuori dalla sala dove si svolgevano i lavori del convegno organizzato da un Comitato di Lamezia Terme.
Come tutti gli anni il presidente dell’Associazione dei trapiantati aveva riunito competenze, speranze, dolori in una sala.
Cercavo di indovinare, come al solito mi piace fare, le spinte che inducono a dedicare una giornata, che fuori brilli il sole o cada la pioggia, a un luogo chiuso dove su un grande schermo corre una lucina che indica spicchi e coni e ascisse e termini stranieri che anche gli ignoranti come me imparano a decifrare perché in un certo qual modo indicano che tu stai lì, fra quei dati, quelle percentuali, resti a comporre una speranza o a formulare una statistica infausta.
Arrivano quelli che generosamente condividono il sudato sapere, arrivano quelli avidi quel sapere di conoscerlo, arrivano quelli che devono farlo per racimolare i crediti e poi chiacchierano tutto il tempo con il vicino, arrivano i malati che preferiscono essere informati e i parenti di altri che faranno da decanter prima di passare le notizie ai diretti interessati.
Sistemati i libri e le cartellette, i depliant sul tavolino, mi disposi ad attendere una fra i tanti relatori che arrivavano dai poli di eccellenza nazionali. Sapevo che sarebbe venuta a relazionare e io ero molto curiosa di conoscerla, me ne avevano parlato, ma non l’avevo mai incontrata e, quindi, come riconoscerla?
Arrivò insieme ad alcuni altri e io la riconobbi immediatamente, non saprei dire perché.
Perché gli uomini che le stavano accanto, tutti più alti di lei, sembravano più piccoli?
Perché invece del solito tailleur firmato portava una gonna folk a ruota con gli specchietti?
Perché invece di ascoltare con un sorriso da donna stampato sul viso, come fanno di solito le donne che ascoltano con un sorriso stampato sul viso, lei parlava e gli altri ascoltavano?

La prof Brunetto dirige l’Unità operativa di epatologia dell’Azienda ospedaliero universitaria di Pisa
Misi da parte la mia timidezza e mi avvicinai e le chiesi: la dottoressa Brunetto? Mi guardò diritto in faccia e disse: «sì» – e io solo: «ho grande piacere di conoscerla», e me ne andai.
Poi abbandonai il mio banchetto ed entrai ad ascoltare la sua relazione.
Lei parlava di virus e di fegati sani o più spesso maculati o rinsecchiti come le spugne gialle naturali scordate per lungo tempo senza farle respirare nell’acqua, ma le immagini mostravano anche dipinti famosi che spiegavano, molto meglio delle consuete ascisse e coordinate, il senso delle cose con le immagini e i colori altrove incontrati .
Lei dietro al microfono parlava a ognuno, e ognuno poteva comprendere che la trama di quelle storie era dura, grave e seria, ma vera, e che chi la raccontava sapeva cosa stava dicendo e ne parlava buttando in quel microfono la fatica di uno studio che prende il tempo di una vita, a volte gli affetti, la forza che ci vuole ancora e ancora in una civiltà che pare cammini veloce e invece ti fa sempre inciampare negli stessi sassi che lastricano, in buona o mala fede, le strade degli indifferenti, degli invidiosi, dell’arroganza pesante degli uomini, della leggerezza sciocca di alcune donne.
A fine lavori rimase a rispondere a quanti avevano ancora da chiedere e da richiedere.
La cercai a Pisa e imparai a conoscerla meglio, puntuale arriva ogni mattina e sale su per le scale i cinque piani con lo zainetto sulle spalle e la borsa in mano.
È piemontese, è una prof, dirige un gruppo eccellente di medici e paramedici, ma soprattutto è una “Donna”, Maurizia Rossana Brunetto.
Mi piace immaginare che in qualsiasi secolo avesse vissuto, lei avrebbe combattuto e vinto le sue battaglie. Non manda a dire, lei va. In qualsiasi situazione non si scansa, lei affronta.
Una gigante peso piuma con al collo la collana di guerriera che spiega le strategie ricamando una terapia spesso pesante e faticosa, con fiato e sguardi che ti spingono a provarci, ad afferrare quella seconda chance.
Nei minuti che mi dedica mi informa chiaramente del mio stato, eppure non mi è mai capitato di parlare della mia malattia con lei e sentirmi solo un “fegato” malconcio.
Il mio fegato sta nel mio addome e io porto appresso a lui una testa, degli occhi, delle orecchie, un cuore, una dignità, idee e parole che lei mi lascia esprimere approvando o rimettendomi in riga.
Mi disse una volta : «Siamo state compagne di rogo», niente avrebbe potuto di più riempirmi di orgoglio.
* Adele ci ha raccontato pochi giorni fa come ha contratto l’epatite e i suoi viaggi a Pisa per sottoporsi a terapie sperimentali. La luminare che la cura ha un posto speciale nella galleria delle donne che la cirondano e che lei descrive sul nostro blog con pennellate di vocali e consonanti.
riposto qui quanto scritto su un altro articolo, perché sia certa che tu lo legga
cara Adele, rileggo ora il tuo articolo, invogliata dal più recente che hai scritto sulla professoressa “guerriera”. Mi scuso se ti leggo così in ritardo. Può succedere anche a noi, blogger di questo grande utero virtuale che ci accoglie, di non soffermarci sempre su tutti coloro che ci stanno accanto. Non mi sento in colpa, tuttavia, qualcosa deve prenderti per invogliarti a seguire qualcuno e tenere desta l’attenzione. I tuoi scritti, a partire dal più recente a ritroso, mi hanno conquistata. E non è solo perché ho avuto mia madre ammalata della tua stessa sindrome, che ho seguito da quando la chiamavano nonAnonB, prima che la denominassero C. E non è solo perché anche io ho condiviso tutte le peregrinazioni in giro per l’Italia, che l’hanno portata, lei donna del sud, a farsi curare al nord, dove vivo io. E’ per la lezione che insegni, con il tuo coraggio e il tuo gesto di tirar fuori dalla tua valigia i tuoi ricordi, tutto quello che c’è di antico e che non avevi, forse, mai esternato prima, e tutto ciò nuovo, che si accumula sopra e si cerca di sistemare, come una camicia appena lavata e stirata. Ecco, è questo, è proprio questa grande forza che mi invoglia a seguirti, da ora in poi. Grazie per i tuoi scritti, di cuore.
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Cara amica nuova, grazie a te per i pensieri e le parole che mi dedichi.Uno degli aspetti positivi della vita, per me, è avere occasioni di incontrare e conoscere e riconoscere. Paola mi ha presa per mano e portata in questo girotondo di donne speciali con le quali scambiare sentimenti. Chissà che un giorno non lo si possa fare non solo virtualmente. Grazie anche per quanto condividi con me , con noi. Ti abbraccio.
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cara adele, mi sei diventata cara attraverso quello che di te hai voluto far leggere e pensando che oltre a quello c’è molto molto altro, mi risulti ancora più cara. mi capita di partecipare a congressi sulle malattie che ho e, a parte una volta in cui ho trovato un medico con la medesima malattia, ho sempre pensato che non capissero mai a sufficienza. trovare compagni di rogo è come un diamante. la cosa che per certo ho imparato in questi 30 anni è che io non sono malata: io ho una e anche più malattie. ed è diverso, molto diverso. questo mi permette di cogliere tutti gli aspetti attorno che mi danno modo anche di riderne e di guardare con occhi diversi e con la pazienza che accudisce la malattia e non sé stesso come un malato. una paziente non che patisce ma che pazientemente cura e quindi si cura di sé.
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Cara Elisabetta, come ho già detto, non ho mai avuta molta simpatia per i medici e vivo tenendo i miei problemi di salute su un binario parallelo. Vigilo, mi informo, controllo, sempre restando sull’altra linea. Spesso ho pagato fior di parcelle a luminari dai quali andavo con atteggiamento prevenuto, devo confessarlo anche se non riesco a pentirmi. Con la prof guerriera è stato diverso da subito, per mia fortuna ed in tutti i sensi. Se ti fa piacere possiamo parlare anche privatamente. Ti abbraccio con grande piacere.
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Betta sei sempre una grande, anche tu, nella tua scrittura. Vorrei dedicare ad entrambe questa bellissima canzone di Battiato, e, considerando il mio periodo, la dedico anche a me ….
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Grazie cara. Si potessero clonare certi uomini! Con tutto il rispetto per quelli con i quali invecchiamo. :-))
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Oh, ragazze. Qui urge fare summit poetico a casa mia.
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cara Paola, volentieri, proprio volentieri!!! sarà una terapia bellissima
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