di Alba L’Astorina
Un reportage fotografico racconta gli intensi e drammatici giorni del tentato golpe di Mosca del 1991, e porta alla ribalta volti, storie, simboli e accadimenti di uno dei momenti più significativi della Russia contemporanea. Il reportage, a cura di Bruna Orlandi[i] e Alessandra Attianese[ii], si intitola Russia 1991. Un altro luogo, un altro tempo e sarà in mostra a Il Tornio di Agenzia X, a Milano, dal 14 fino al 24 maggio nell’ambito di Photofestival. Dal lunedì al venerdì, dalle 15 alle 19 (http://www.photofestival.it/).
Il luogo è la Mosca dell’allora Unione Sovietica, il tempo è quello del colpo di stato del 19 agosto 1991, quando la capitale sovietica è invasa dai carri armati. Ricordo ancora lo sconcerto dei giorni in cui i media comunicarono che il presidente Mikhail Gorbaciov, autore di profondi processi di riforma[iii] che avrebbero portato alla dissoluzione dell’URSS, era stato fatto prigioniero nella dacia presidenziale in Crimea allo scopo di impedirgli di firmare il nuovo Trattato dell’Unione che avrebbe portato alla indipendenza di alcune Repubbliche.
Sebbene sembri una storia ormai molto lontana, risalente a più di vent’anni fa, il reportage non può non far pensare a quello che sta succedendo in queste ore nella stessa Russia e in Ucraina. E alle cronache drammatiche dalla Cecenia cui abbiamo assistito in tutti questi anni. Forse è per questo che le autrici hanno dedicato il loro lavoro documentaristico ad Anna Politkovskaja, la giornalista russa uccisa nel 2006 durante la presidenza di Vladimir Putin, che con i suoi reportage dalla Cecenia ha raccontato con uno stile talmente aderente alla realtà da sembrare quasi fotografico, le profonde trasformazioni che il suo paese stava attraversando, denunciando la corruzione, la brutalità e la negazione dei diritti civili.
Anche le foto di Alessandra e di Bruna rivelano un occhio attento ai particolari e nel contempo discreto nell’adesione alla realtà. Sguardi che colgono lo smarrimento dei corpi, la sospensione della speranza, l’ansia della libertà, l’euforia quando, un mese dopo, l’Unione Sovietica viene sciolta. Ma che lasciano amaro negli occhi al pensiero di una primavera, quella russa, mai realmente sbocciata.
«Non è facile fotografare le persone», si legge nella presentazione di Luca Nicola che accompagna la mostra e che riporta stralci dell’intervista alle fotografe, «si sentono sotto osservazione, in una realtà dove tutto è sotto controllo. L’occhio è catturato da una presenza massiccia di segni forti: la mole imponente dei palazzi, le statue di Lenin altissime, la falce e martello ripetuta ossessivamente ovunque come una texture. A due anni dalla caduta del Muro di Berlino la situazione è in continuo movimento, il rinnovamento voluto da Gorbaciov procede a gran velocità, pur tra evidenti resistenze e contraddizioni. Per giorni l’atmosfera è molto tranquilla poi, all’improvviso, si avverte che l’equilibrio dell’Unione Sovietica sta per crollare. Fin dal mattino presto, gli speaker ripetono ossessivamente lo stesso comunicato. La gente si affolla nei bar a guardare la televisione, poi si riversa per strada e nelle piazze. A Leningrado la situazione è di attesa, ci si aspetta da un momento all’altro la marcia sulla città, si formano presìdi. Invece il putsch va in scena solo a Mosca, con l’arrivo dei carri armati, la comparsa delle barricate, i morti. Gli avvenimenti si susseguono caotici, la realtà appare sotto una luce ambigua (Gorbaciov è stato rapito o è personalmente coinvolto?). Più che un tentativo di colpo di stato sembra una gigantesca kermesse, che si gioca nell’arco di una dozzina di giorni. L’epilogo arriva un mese più tardi, con una folla enorme che partecipa al concerto di AC/DC e Metallica: le chitarre heavy metal a far da marcia funebre all’Unione Sovietica che si dissolve».
L’attenzione per la documentazione è una costante del lavoro delle due fotografe, di cui abbiamo già raccontato in questo blog[iv], che vivono come impegno civile anche la loro professione di insegnanti, attente, in diverso modo e grado, ai temi dell’infanzia, del territorio, delle donne e dei conflitti nel mondo.
[i] Bruna Orlandi: fotografa, docente di fotografia, associata alla SISF, Società italiana per lo studio della fotografia, ha partecipato alla realizzazione del progetto Archivio dello Spazio – dieci anni di fotografia italiana sul territorio della Provincia di Milano – curato da Roberta Valtorta. Ha inoltre collaborato con il giornalista Toni Fontana del quotidiano L’Unità nei reportage di guerra in Libano e sui flussi migratori in Italia, Marocco e Spagna, ha realizzato reportage in Russia, Siria, Egitto, Africa e Argentina. Segue da diversi anni il conflitto israelo-palestinese.
[ii] Alessandra Attianese: fotografa, docente di fotografia, ha svolto un ampio lavoro di ricerca fotografica sui temi legati alle comunità, alle donne, all’infanzia, al territorio. Tra i progetti più significativi, la documentazione della Biennale Giovani Artisti dell’Europa e del Mediterraneo – Bologna’88, Marsiglia ’90, Lisbona ’94 – realizzata per il Comune di Milano; le immagini che hanno dato vita alla mostra/convegno: Donne migranti nella metropoli. Spazi e tempi della cultura materiale e il reportage sugli Incontri cinematografici di Hergla in Tunisia con cui ha partecipato alla 10° edizione del Siena short film festival.
[iii] passati alla storia con i nomi di perestrojka, cioè ricostruzione e glasnost, che significa trasparenza, per alludere al profondo e complesso sistema di riforme economiche aspiranti a una maggiore trasparenza nella vita pubblica. Le parole e le loro idee furono introdotte nell’Unione Sovietica da Michail Gorbaciov nell’estate 1987 allo scopo di ristrutturare l’economia nazionale.
[iv] Lo avevamo fatto in occasione della personale sulla Palestina, in cui Bruna Orlandi, che segue il conflitto israelo-palestinese dal 2001, aveva testimoniato l’occupazione dell’esercito israeliano nei territori palestinesi, il movimento internazionale di intervento pacifico, la vita quotidiana nella striscia di Gaza e nei villaggi palestinesi circondati dal muro di separazione. E avevamo commentato le foto con cui entrambe le fotografe avevano voluto omaggiare insieme ad altri 190 artisti da tutto il mondo, i morti dell’attacco terroristico di Madrid del 2004 nel Projet 192, ideato e coordinato dal fotografo Ciro Prota.