Dalla nostra inviata tra le vignaiole della passione

di Elena Novati

Elena Novati con Rita, la "nuora del Cancelliere"

Elena Novati con Rita, la “nuora del Cancelliere”

E’ terminata il 7 aprile la manifestazione Vinnatur 2014 nella cornice di Villa Favorita, a Sarego (Vicenza), uno degli eventi più importanti a livello europeo per i vignaioli produttori di vini naturali, giunta alla decima edizione e a migliaia di visitatori da tutte le parti del globo terracqueo (non sto esagerando: 140 vignaioli provenienti da otto Paesi, qui il sito http://www.vinnatur.org/). Cosa siano i vini naturali me lo ha spiegato Angiolino Maule, il fondatore e presidente di VinNatur (acronimo di Associazione Viticoltori Naturali) e titolare/produttore di vini naturali dell’azienda La Biancara di Gambellara (Vicenza), incontrato nel mezzo dell’evento (ok, me l’ha segnalato il mio ragazzo, ma io ho attribuito questo colpo di fortuna al cornetto acquistato a Napoli poco tempo addietro e molto disponibile a parlarmi della sua filosofia di vino/vita: «I giovani oggi vogliono uscire dall’omologazione dei vini tipici di 15/20 anni fa; gli anni 2000, sino al 2010, sono stati gli anni fondamentali degli errori, delle prove, degli esperimenti di fermentazione spontanea. Il vino naturale mira ad aumentare le difese immunitarie della pianta stessa, in una continua ricerca dell’equilibrio e senza il ricorso agli additivi chimici come rame (impoverisce la fertilità del terreno, perché debella i funghi e le muffe naturali) e zolfo (perché è un residuo della lavorazione del petrolio nel 99 per cento dei casi, quindi uccide la massa di cellule presenti nel mosto); si controllano solo pulizia e temperatura degli ambienti di produzione: ecco perché questa tipologia di vini risulta tanto eterogenea al suo stesso interno. Investiamo molto in ricerca scientifica, a oggi ve ne sono aperte tre e l’obiettivo è quello di eliminare completamente l’utilizzo di rame e zolfo». 

VINNATUR 2014 LOCANDINA

Ora avete acquisito una serie di nozioni-base che potrete sfoggiare in discorsi impegnati durante gli eventi di degustazione della DesignWeek milanese (insomma, mentre aspettate che Carlo Cracco proponga deliziose ricette a base di patatine in busta: esattamente quello che cercavo di creare a 10 anni, spacciandolo per antipasto), chiedetevi quante donne vi fossero in veste di produttrici/vignaiole, altrimenti non avrà senso proseguire con la lettura del post. Il vino, il lavoro manuale e faticoso nelle vigne, la guida dei trattori: qual è l’apporto delle donne in un campo tradizionalmente uomo? Le donne nelle campagne si sono sempre viste, ma quante sono balzate agli onori della cronaca associate a grandi etichette (non vale dire: «Le mogli dei produttori»)? Allora ho deciso di andare a chiedere ad alcune delle produttrici/professioniste/appassionate di vino, quale fosse la loro percezione della donna vignaiola.

Laura Sbalchiero, l’addetta stampa dell’evento, non solo mi concede l’accredito in extremis, ma mi consiglia alcune produttrici da intervistare per il blog (io procedo nella mia progressiva conversione al supremo potere del cornetto di San Gregorio Armeno). Bollino press bene in vista sulla maglia, quasi mi intimorisce: potrebbero prendermi per una persona seria e competente. Per fortuna mi è spuntato un brufolo che contribuisce a farmi sembrare giovane e inesperta, quindi abbiatepietàdimeviprego (sarà la mia ossessione giornaliera per ogni momento in cui mi avvicinerò a una persona da intervistare: «Salve, sono Elena, io e la mia installazione sulla fronte scriviamo per donnedellarealtà…»).

Elisabetta Musto Carmelitano (foto da "Corriere del  vino)

Elisabetta Musto Carmelitano (foto da “Corriere del
vino)

«LA MIA VITA E’ DA SEMPRE LEGATA A QUESTO MESTIERE»

Il primo incontro è con Elisabetta Musto Carmelitano, fondatrice e titolare dell’omonima azienda sita a Marchito (Potenza) e nata nel 2007 per suo stesso volere, la quale mi conferma che nel mondo del vino ci sono sempre più donne che si occupano di tutto il processo di produzione. Mi dice: «Amo chi lavora come me, non mi piace chi ci mette solo la presenza. Tante persone si chiedono se lavori in cantina davvero, ma nel mio paese gli abitanti si straniscono ben di più quando in cantina non ci sto. Gli uomini coltivano e si occupano di alcuni lavori faticosi più per una questione di mera forza fisica, ma non è detto che una donna non possa fare lo stesso; certo, forse una donna in cantina può sembrare strana, specie quando vi è una mentalità di fondo che tende ad associarla ad un ruolo più classico, ma le donne lavorano nelle vigne da sempre, io ricordo i miei nonni quando producevano il vino, la mia vita è da sempre legata a questo mestiere». Elisabetta è giovane e ha portato avanti un progetto forte e ambizioso, il marchio Musto Carmelitano esiste dal 2007 e lavora con vitigni che arrivano ad avere 60/80 anni di età.

 

«SONO IO IL MASCHIACCIO»

Seguo il mio ragazzo tra i banchi degli espositori, lui mi propone di assaggiare il Taurasi dell’azienda vitivinicola Il Cancelliere (Montemarano -Benevento-), ed ecco che incontro Rita, la “nuora del Cancelliere” (cit.): suo marito è uno dei figli del fondatore dell’azienda e lei si è appassionata al vino quando ha conosciuto suo marito. Lavora da sempre la terra, guida il trattore (dice: «Enrico no, lui non porta il trattore, sono io il maschiaccio») mi mostra le mani per provare quel che mi racconta, mi parla del suo ingresso in azienda nel 2007 e di come si senta legata al suo mestiere: «Io sono un’operaia del Cancelliere, ho iniziato a lavorare quando abbiamo deciso di vinificare con questo marchio, dopo anni in cui i miei suoceri vendevano solo le uve e vinificavano senza il nome attuale dell’azienda. Mi risulta naturale ricoprire questo ruolo, perché le donne in vigna ci lavorano da sempre. Ancora oggi ve ne sono tante che svolgono questo mestiere e di sicuro oggi hanno più visibilità, sono apprezzate. Quel che è cambiato, negli anni, è stata la famiglia: prima le famiglie erano più unite proprio grazie a un mestiere che le occupava completamente, mentre oggi i legami si allentano più facilmente. Per noi è ancora molto importante questo aspetto, ecco perché per la donna forse è un po’ più faticoso star dietro ai ritmi di un’azienda vitivinicola: da una parte vi è il riconoscimento del lavoro svolto, dall’altra rimane la cura della famiglia e della casa, ancora appannaggio delle donne in molti casi». Rita ci porta in giro tra banchi e produttori, credo che potremmo passare a trovarla in azienda la prossima estate…

Proseguo nel Sud Italia, provo un cerasuolo di Vittoria dell’Azienda Agricola COS (Vittoria –Ragusa-) e mi ritrovo sotto i portici di Villa Favorita (ha smesso di piovere, ci si può godere un bel parco) a chiacchierare con Joanna, una ragazza polacca che si è trasferita in Sicilia per amore. Mi racconta di quando a casa sua, in Polonia, girava solo vino francese a tavola; la sua passione nasce spontanea ed è figlia di una curiosità evidente: Joanna ha studiato e lavorato come PR per diversi anni, l’incontro con COS è stato casuale durante uno dei suo giri in Sicilia. Lei, appassionata di vino e convinta della continua necessità di ricercare le potenzialità dei vitigni sul territorio, ha iniziato a lavorare per COS dopo aver proposto all’azienda una presentazione mirata a migliorarne la visibilità (non ha certo fatto la PR per nulla…). Si stupisce di quanto in Italia manchi la cultura del “fare gruppo” grazie alla creazione di consorzi che possano produrre grandi vini, come il Consorzio del Cerasuolo di Vittoria cui appartiene (insieme ad altri 18 produttori) l’Azienda Agricola COS. Prosegue Joanna: «In Italia a volte si nota la tendenza ad utilizzare alcuni vitigni per copiare vini famosi, ma perché? Se possiamo utilizzare le stesse uve, perché non cercare di dare vita a vini autoctoni? Sarebbe importantissimo per la Sicilia e per tutta l’Italia. Spesso sono io stessa ad esporre questo pensiero agli stessi italiani che ne rimangono quasi sorpresi…». Le donne nell’ambiente del vino, a suo dire, rimangono un po’ marginali perché spesso trattano una parte del lavoro che è più di rappresentanza, ma non mancano le eccezioni nonostante si noti un certo pregiudizio nei loro confronti. Mi racconta alcuni aneddoti della sua vita professionale, ride quando mi dice che un giorno sono arrivati due sommelier AIS (Associazione Italiana Sommelier) in azienda per alcune degustazioni e, sentendola parlare, si sono premurati di chiederle: «Ma tu non sei di qui? Cosa fai in azienda? E’ un hobby il tuo, vero?». C’è un po’ la presunzione di pensare che lei ne capisca meno di altri esperti, in particolare quando le capita di girovagare per aziende da sola (ha un progetto tutto suo da realizzare, in bocca al lupo!): la realtà è che Joanna è una tipa curiosa, molto competente e desiderosa di apprendere in continuazione. Per lei il vino ha una funzione educativa, perché nell’approccio con i clienti è importante imparare a percepirne le curiosità e le impressioni rispetto al prodotto. Non ama molto le schede tecniche (avete presente? Bacche rosse, humus, tannico, rotondo, sentori di vaniglia e note di tabacco…) perché non è necessario che tutti percepiscano le stesse note in un bicchiere di vino: lo snobismo sul prodotto allontana la gente, fa intimorire chi magari vorrebbe domandare di più ma si astiene per paura di far brutta figura. Joanna aggiunge: «Bisogna avvicinare la gente, stimolare la curiosità, evitare troppi tecnicismi. Io incontro diverse donne che lavorano in questo mondo, ma spesso mostrano poca passione, forse per timore di non essere prese troppo sul serio. La bellezza di questo mestiere sta nella possibilità di conoscere persone da tutto il mondo grazie ai ricordi che il vino e i suoi aromi stimolano nella memoria. Non è importante essere esperti, è importante essere curiosi e appassionati. Non ci interessa che qualcuno arrivi in azienda solo perché ha letto su Wine Spectator che siamo tra i primi 100 al mondo, perché se manca una passione sincera il vino non si conosce». Il tempo trascorre veloce, pare, perché il mio fidanzato a un certo momento mi chiama sul cellulare temendo mi fossi persa mentre lui (vile, me la pagherà) stava assaggiando uno dei miei vini preferiti. Ringrazio Joanna per il tempo dedicatomi, non senza averle prima domandato se avesse mai partecipato a corsi o scuole specifiche per diventare sommelier: alla sua risposta negativa mi rallegro al pensiero di averci potuto aver a che fare, perché non è così comune incontrare un concentrato simile di passione.

«BASTA CON GLI STEREOTIPI, LAVORIAMO IN VIGNA DA SEMPRE»

Recupero il fidanzato e mi lascio guidare verso quella che potrebbe essere considerata la Mecca dell’Amarone, ovvero lo stand dell’azienda Corte Sant’Alda, una realtà gestita da molte donne. Riesco a parlare con Federica Camerani, figlia della produttrice (Marinella Camerani), la quale mi racconta di come sia nata l’azienda di Mezzane di Sotto (Verona). Sua mamma inizia a lavorare nell’ambito vitivinicolo circa 28 anni addietro, l’azienda Corte Sant’Alda è stata aperta 26 anni fa grazie alla passione della signora Marinella per il vino e al supporto del marito (si occupa della campagna). La mamma di Federica lavorava come ragioniera ma era appassionata di vino, un giorno si stufa e torna in campagna dove aveva ancora alcuni terreni di famiglia, inizia a dare forma all’azienda attuale e negli anni si appassiona alle tecniche di viticoltura biologiche e naturali. «All’inizio», mi racconta Federica, «mia mamma era vista come poco credibile, perché arrivava dalla città ed era senza esperienza. Tuttavia è una donna molto di polso, quindi si è concentrata sull’obiettivo ancora prima di incontrare suo marito. L’agricoltura biologica è arrivata in seguito a un percorso di ricerca personale, per poi giungere alla produzione biodinamica attuale. Fare la vignaiola è un mestiere da sempre attribuito all’uomo, perché si pensa alla forza fisica necessaria per portarlo avanti in campagna e cantina. Ora cominciano a vedersi molte più donne in questo mondo, ma c’è ancora una visione un po’ stereotipata che non associa la donna al mestiere di vignaiola. Eppure le donne nelle vigne ci lavorano da sempre…». Se i risultati sono quelli che ho potuto assaggiare, c’è da augurarsi che queste donne proseguano a lungo nella produzione di Amarone e Ripasso (il Ripasso è prodotto con le stesse uve dell’Amarone e del Recioto, nella fattispecie: la tecnica del ripasso consiste nel versare, prima dell’affinamento in botte, il vino Valpolicella base direttamente nei tini dove è stato precedentemente pigiato l’Amarone lasciandolo riposare a contatto con le vinacce appena pressate per circa 15/20 giorni. In questo modo il vino riceve dalle vinacce appassite parte dell’aroma che è proprio dell’Amarone. Tutto chiaro? Procedete sereni coi discorsi impegnati al FuoriSalone.

Mélanie Tarlant (immagine da Jim'sLoire.blogspot.com)

Mélanie Tarlant (immagine da Jim’sLoire.blogspot.com)

«E’ STATA MIA NONNA A INIZIARE LA PRODUZIONE DI QUESTI CHAMPAGNE»

E’ il momento di brindare alla giornata che si appresta a terminare, perciò…champagne, giusto? Ed ecco Mélanie Tarlant, co-proprietaria insieme al fratello dell’omonima azienda Champagne Tarlant, un must se si vuole parlare di bollicine francesi. La famiglia di Mélanie vinifica dal 1687, per dodici generazioni la tradizione è stata tramandata di padre in figlio, fino a quando è arrivata lei a inaugurare la prima generazione tramandata a una figlia, una rivoluzione (d’altra parte dove, se non in Francia?). Le chiedo cosa significhi essere una donna in questo campo, se vi siano differenze nella considerazione del suo lavoro (glielo chiedo in inglese, perché il mio francese farebbe diventare aceto anche i suoi champagne) e lei risponde così: «Essere una figlia è diverso dall’essere una moglie. Di solito le mogli dei vignaioli si limitano a parlare del lavoro dei loro mariti, anche quando loro stesse in realtà lavorano in azienda; come figlia, invece, puoi parlare del lavoro in sé: io ricordo ancora la mia nonna in azienda. Fu lei a dare inizio alla produzione di questi champagne nel 1929 a soli 18 anni, ma è stato necessario che arrivasse una donna alla guida dell’attuale azienda, una figlia, affinché si potesse parlare di donne in questo lavoro. Al momento c’è ancora una maggioranza di uomini, ma le donne stanno pian piano aumentando; è un mestiere faticoso ma non impossibile, le donne in realtà sono caratterizzate da un a tenacia particolare forse dovuta al fatto che sono ancora una minoranza». Mélanie è arrivata a Vinnatur con la madre Micheline Tarlant, la quale ha da poco effettuato il “passaggio di consegne” a lei e al fratello; il suo champagne è uno dei migliori in circolazione e lei mi permette di terminare la giornata con un buon Tarlant Brut Nature, uno champagne naturale che – leggo sulla brochure dell’azienda – è particolarmente adatto ad accompagnare sushi ed ostriche.

Micheline Tarlant

Micheline Tarlant

L’impressione generale è che le donne stiano prendendo piede nonostante l’immaginazione collettiva tenda ancora ad avere un’idea di vignaiolo uomo, burbero e con delle mani simili a pale di mulino (certo, si sa, per grandi vini servono grandi mani…). La realtà è piacevole da osservare perché quel che si nota, al netto della possibilità che una donna venga considerata solo rappresentanza, le vignaiole intervistate hanno dimostrato (non ve n’era bisogno, tuttavia) solo di possedere una grande passione, ovvero tutto ciò che serve per lavorare seriamente in questo mondo.

Per quanto mi riguarda, io ho gustato lo champagne accompagnandolo a una persona importante, così come ho fatto per gli altri vini assaggiati nell’arco della giornata: non credo esista un modo migliore per far tesoro del lavoro e della passione delle persone che stanno dietro a ciascuna bottiglia.

Ci ritroviamo nel 2015, VinNatur.

Nota dell’autrice, nonché consiglio gratuito: donne, portatevi un correttore in borsa se non volete ammorbare il fidanzato con l’angoscia da brufoli durante le interviste. In secondo luogo, non inorridite di fronte a sommelier che sputano il vino: loro ne assaggiano ben di più della sottoscritta, quindi ci doveva pur essere un segreto per non uscire a gattoni da una manifestazione di questa portata.

Ringraziamenti e menzioni speciali:

-il mio ragazzo, perché mi ha prestato della sana faccia tosta per braccare Angiolino Maule

-le donne (tutte: partecipanti, produttrici, fotografe, giornaliste ecc.), perché per la prima volta ho trovato un luogo in cui vi era fila solo davanti alle toilette maschili (tutto vero, dovete credermi): questo a dimostrazione del fatto che non siamo lente.

-un partecipante/importatore sulla settantina, perché mi ha fatto un complimento proprio mentre stavo pensando di provare tutti i 600 vini presenti pur di scordarmi dell’esistenza del mio enorme brufolo.

 

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