di Adele Colacino*
Per Paola soltanto e per conoscerci un po’.
Sono nata a Catanzaro il primo giorno di luglio del 1945. Era quasi mezzogiorno – ero la prima figlia di una coppia che ci aveva messo un po’, per quei tempi, a trovare l’anima gemella.
Qualche tempo fa un amico che vanta conoscenze nel campo dell’astrologia e delle arti esoteriche (si dice così?) mi fece un oroscopo e poi mi stampò un disegno nel quale leggeva che al momento della nascita avevo tutto a favore, una cosa meravigliosa e rarissima.
Mi chiesi e mi chiedo ancora adesso: ma cosa avrò combinato per aver perso ogni occasione di eccellere, di avere successo, di vincere? Puah!
Ho perso il papà che avevo dieci anni e mia madre, già donna di carattere forte, si sentì in dovere di diventare fortissima. Si cercò un lavoro e ci fece crescere dignitosamente e senza grilli per la testa.
Ero timidissima e malata di sensibilità. Piano piano imparai a scorticarmi di dosso la timidezza, ma mi restò l’altra malattia.
Volevo fare il liceo classico, ma all’epoca non c’erano atenei nella mia regione e quindi potevo scegliere di diventare maestra o ragioniera – decisi per la seconda opzione anche se i numeri non mi sono mai stati amici quanto le parole.
Mi fidanzai a 18 anni, a mia madre piaceva molto quel ragazzo che la chiamava mamma ed era figlio di amici che conosceva da anni.
Lui stava a Crotone e ancora prima di sposarmi fui assunta in Fiatallis e quindi andai a stare dal lunedì al sabato da una cugina del mio fidanzato.
Mi sposai e dopo tre anni, prima non era giudizioso averne perché avevamo comprato casa, nacque il mio unico figlio.
Fu un parto complicato un po’ dalla sorte e moltissimo dal medico.
Era una clinica specializzata esclusivamente in ostetricia e ginecologia, ma quasi mi uccisero.
Non esagero, ebbi la visione dell’azzurro e mi impartirono l’estrema unzione. Vidi per la prima volta mio figlio dopo circa tre mesi.
Tornai a lavorare in Fiatallis fino a quando non chiuse i battenti, commettendo un grave imbroglio finanziario, ma questa è una storia a parte.
Fui fortunata e ricevetti alcune offerte di lavoro. Rimasi in uno studio commerciale per alcuni anni e studiai ancora fino a prendere dei titoli che non mi servirono mai.
A quarantacinque anni fui costretta ancora a cambiare città, tornavo per motivi di lavoro di mio marito, a Catanzaro.
Ancora ebbi la fortuna di avere una proposta di lavoro ed entrai in una azienda direi sperimentale per una nuova tecnologia.
Ero in contatto con tutti gli enti locali della regione – era il tempo della grave crisi argentina – mi venivano dirottate, fra le altre cose, tutte le richieste di cittadinanza degli emigrati di seconda e anche terza generazione. Qualora avessero potuto rintracciare, documentandola, l’origine italiana avrebbero potuto richiedere la seconda cittadinanza.
Oddio, avevo carta bianca e io rintracciai i parenti a tanta gente, chiamando autorevolmente gli uffici anagrafe, i parroci, le curie e, quando non avevo altra via, gli omonimi.
Oggi vanto amici carissimi nell’America Latina e in tanti sono passati a trovarmi.
Che carrambate – anche questa è altra storia/e.
Una per tutti, Mauro, un magistrato brasiliano è venuto a trovarmi con la moglie e a marzo torna con i figli!
Ho combattuto sempre e dappertutto, quando erano gentili con me e quando erano ostili o tiranni.
Sono finita in tribunale, ricordo la cartella in mano al giudice sulla quale c’era scritto:
FIATALLIS / COLACINO
Entrai nel sindacato che per me mise piede per la prima volta in quella che era una cattedrale impenetrabile – i capi venivano sempre da fuori come i militari e i guardiani erano sempre ex carabinieri.
Alla prima discussione un segretario CGIL mi apostrofò: compagnella – ora ci siamo noi – tu puoi stare a guardare.
E la Fiatallis chiuse!
Sono andata appena in tempo in pensione che anche la nuova attività si sciolse come neve al sole.
Che faccio ora? Niente mi sembra – il quotidiano – le parole crociate – i libri – i nipotini – un figlio che ce l’ha sempre con me – attualmente non si fa vedere e sentire da mesi (abitiamo a 500-600 metri di distanza) – un marito capricorno che tace – una malattia silenziosa dal tempo del parto, regalatami dalle trasfusioni infette di De Lorenzo e Poggiolini, diverse terapie pesanti e invalidanti che non sono mai riuscite a farmi sentire malata – l’ultima forse risolutiva, ma occorre aspettare ché trattasi di sperimentazione!
Da anni sono nel consiglio direttivo di una associazione che informa sulle epatiti, sono la delegata per la Calabria, collaboro come posso.
Frequento, ogni volta che è possibile iniziative cittadine – oltre che frequentare alcune donne come la mia Lorenza.
Adoro andare a teatro con la mia nipotina Marzia – la strega di casa n.2.
Ho una gatta di nome Gilda con la quale m’intendo molto bene e che, ho i testimoni, mi chiama per nome!
Recentemente mi sono iscritta, via web, ad una associazione che si occupa di cremazione, devo informarmi se la Calabria ha legiferato sulle regole della dispersione perché desidero tornare al mare.
Cara Paola ho buttato giù queste righe e, credimi, non le rileggo nemmeno, perché è tardi e ho gli occhi secchi (dopo le cataratte – è importante per il curriculum?).
Ho fumato molto e da anni non fumo più, mi piace la gente, non vorrei mai perdere il contatto con chi incontro, ho antipatia per le divise di ogni genere, non sopporto chi aspetta sempre molto per esprimere la propria opinione – chi nasconde l’indifferenza dietro la riservatezza – perché sono due cose distintissime e riconoscibili presto.
Sono capace di farmi prendere per i fondelli in maniera consapevole e consenziente, ma quando il gioco mi secca divento feroce perché l’altro non ha capito che ho aspettato abbastanza.
Sono ironica a volte troppo, ho il pulsante dell’audio quasi sempre acceso e gli anni mi hanno insegnato che dovrei starci più attenta.
Bene, basta così.

Il fiorista milanese di Largo Augusto va a consegnare i girasoli della solidarietà a Ilda Bocassini (foto di Gino Zermo)
Una autentica meraviglia. Adele Colacino e io ci siamo conosciute il 13 ottobre 2012 a Decollatura, in Calabria, durante un incontro a sostegno delle sindache più esposte sul fronte della legalità e al contrasto alla ‘Ndrangheta (proprio da quell’incontro è nata l’idea di mandare un mazzo di girasoli a Ilda Boccassini). Eravamo sedute vicine e, dentro, non mi è più andato via lo sguardo con cui mi fissava. Abbiamo continuato a tenerci in contatto via Facebook con il proposito – mio – di andare a trovarla e farmi raccontare la sua storia. Poi l’ho invitata a scrivere per il blog, scrive talmente bene. E lei, giorni fa, mi ha mandato un interessantissimo documento su un collettivo di donne che nel 1985 si impegnavano per quegli stessi diritti civili che ancora oggi dobbiamo difendere. Così le ho chiesto due righe di presentazione. E lei mi ha mandato questo racconto di sé. Lo trovo straordinario: per la forza, il coraggio, la sincerità che trasmette. Grazie, Adele. (Paola Ciccioli)