di Mariagrazia Sinibaldi
Grandi, grandissimi personaggi le sartine di tanti anni fa… Entravano timidamente in una casa, quando i bambini erano piccoli, e li rivestivano ogni anno con qualcosa un poco più lungo e un pochino più largo; a volte, anzi la maggior parte delle volte, allargavano e allungavano i vestitini dell’anno precedente. È per questo che lasciavano, all’interno delle cuciture due centimetri in più di stoffa… E col passar degli anni le bambine diventavano giovinette e i bambini si facevano dei bei ragazzetti… Per questi ultimi, dunque, era arrivato il momento di andare dal sarto. Ma di questo argomento io non so niente: a casa mia solo femmine… cugine… zie…. Nonne… Un gineceo, direi.Ma le sartine rimanevano, affettuosamente rivestendo le giovanette e seguendole, come vecchie zie alla lontana, nei loro fondamentali cambiamenti. E finivano col fare parte della famiglia, in qualche modo. Ma poi svanivano, perché troppo vecchie per poter ancora agucchiare o perché le esigenze della moda non permettevano loro di stare ancora al passo. Oppure semplicemente perché la vita è così. Giulia, si chiamava, la sarta che mi faceva i vestitini: la Sora Giulia.
Era una vecchietta piccola piccola , con un “musetto” tondo pieno zeppo di rughe e un naso a patatina: aveva i capelli grigi raccolti sulla nuca con una crocchia. Era una vecchietta ma a me sembrava vecchissima Noi abitavamo di fronte al Campidoglio, lei abitava “oltre San Giovanni”, diceva mamma con fare drammatico. Oggi questa distanza non sembra poi granché. Roma si è allargata in maniera esponenziale ma all’epoca, invece, abituati a considerare Roma, la Roma del centro (“al di là del Tevere”, diceva nonna e alzava gli occhi al cielo) era davvero qualcosa di drammatico. Oggi mi chiedo come la Sora Giulia arrivasse da noi: se venisse a piedi per risparmiare o prendesse qualche autobus… chissà… Comunque arrivava con la sua sporta fatta di piccoli avanzi di pelle, nella quale aveva riposto, bene incartati, i vestitini per me… Ma la Sora Giulia confezionava per me soprattutto i grembiulini….. già, perché quando ero piccola io l’usanza era questa: si tornava dal giardinetto, si lavavano le manine e la faccetta, si toglievano le scarpe e si calzavano le pantofoline di stoffa e si indossavano i grembiulini che coprivano i vestitini “per uscire”. I miei grembiulini erano fatti con le camicie che papà non metteva più. Erano abbottonati dietro e avevano, davanti, due grandi pieghe ben stirate… e due tasche. Mi ricordo con precisione l’invidia che provavo per le mie cugine i cui grembiulini erano abbottonati davanti (alla Montessori), tutti arricciati in vita. Ma a mamma un modello così frivolo non piaceva. Arrivata la guerra, la Sora Giulia scomparve e con lei i grembiulini: chissà, forse non c’erano più le camicie di papà.
Finita la guerra, ripreso un po’ di fiato, vennero di moda le “sartine a casa”; arrivavano la mattina, se ne andavano via la sera, rivoltavano giacche e paltò e confezionavano vestiti nuovi assolutamente unici. La nostra, quella che veniva a casa nostra era una sartona: la ricordo immensa, tutta gialla e rosa come una meletta del Trentino. Arrivava e, con fare frettoloso, subito metteva “le bambine”, mia sorella e qualche cugina piccola di passaggio (io, no, io ero grande, avevo 18 anni, io), a infilare aghi, perché lei, non poteva perdere tempo, LEI, per queste sciocchezze. La macchina da cucire a pedale, che imperava in ogni casa, dotazione di ogni donna che si rispettasse, a casa nostra era rimpiazzata da una piccola Necchi a manovella. Quelle di altro tipo, quelle a pedale, per intenderci, venivano disdegnate da Mamma: “non è chic” sentenziava Mamma, chissà perché. Il risultato, comunque era che, a scaletta, a seconda dell’età, mia sorella e le cugine più piccole venivano “messe sotto” a girare la manovella; io no, io ero grande, avevo 18 anni, io. E dalle dita grassocce della sartona veneta, con le unghie dipinte di un rosso improbabile, come per incanto uscivano giacche e gonne, camicette e bolerini, paltoncini… ma quelli “forti” erano gli “sfiziosissimi” vestiti estivi: quanto erano carini! Tanti fiocchi… tanti vellutini… e io li ricordo con tanta gioia… E quando la sartona veneta la sera se ne andava lasciava un disordine indescrivibile: avanzi di stoffa, pezzetti di filo, spillini, pericolosissimi aghi seminati per terra, qua e là, come chicchi di grano in un campo autunnale. E i vestiti? Quelli erano tutti appesi in giro per casa: belli, confezionati ma non rifiniti: mancava l’orlo, mancavano i bottoni, mancava il sopraggitto (o sopraggetto?) delle cuciture interne… perché lei, la sartona veneta, non poteva perdere tempo con queste sciocchezze, LEI. E qui subentrava Ida, la cameriera colonna portante di casa nostra… ma questi sono quadretti che tutte conoscono: le nipoti per aver sentito i racconti delle nonne… le nonne per aver vissuto una vita, adesso ricordata con una certa nostalgia.. A casa nostra poi c’era la SARTA: Signora di Cosola: piccola anche lei, con il collo bloccato da una terribile cervicale, gli occhiali sulla punta del naso, ci guardava tutte noi, alte, altissime in confronto a lei, dal sotto in su e, aiutata da due sorelle zitelle, di altezza normale, confezionava i “grandi” abiti.
La Signora Di Cosola ha vestito 3 generazioni di casa mia: nonna, le sue 4 figlie femmine, e le figlie femmine delle figlie femmine, e ha confezionato tutti gli abiti da sposa di tutte noi, eccetto nonna e mia sorella Lauretta: entrò a casa nostra intorno agli Anni Venti, dunque nonna era sposata da un pezzo e aveva le figlie già grandi; e l’abito da sposa di Lauretta fu fatto fare da un’altra sarta (brava, bravissima, non si discute) perché lei, la signora Di Cosola si era fatta così piccina e fragile e debole da non riuscire più a tenere in mano e a lavorare una stoffa che non fosse leggera, leggera, leggerissima. Ma non volle mancare all’ultimo appuntamento di matrimonio di casa nostra e confezionò a mano per Lauretta una leggerissima ma sontuosa camicia da notte. Io ero già sposata da un pezzo, carica di figli, in giro per il mondo e per me la signora Di Cosola svanì nel nulla, come una leggera leggerissima nuvoletta rosa.
Qui gli altri capitoli della sua vita che, Mariagrazia, sta raccontando sul nostro blog.