Lisa e il centro commerciale

un racconto di Francesco Ribes

Lisa (1 di 1)

Lisa, la farfalla che riprenderà il volo (foto di Francesco Ribes)

Aveva atteso quel lavoro per più di otto mesi, dopo vari colloqui sostenuti, al termine dei quali arrivava il solito “…può accomodarsi, le faremo sapere…”. Non era granché fare la commessa in un centro commerciale, ma il suo diploma di ragioniera non le consentiva molto di più, per il momento. La retribuzione poi, non era granché; un milione e trecentomila all’inizio (ora si direbbe 671,39 euro), con la possibilità di arrivare a un milione e mezzo dopo sei mesi, ma il posto era sicuro, in quel mostro di cemento tutto spigoli per il quale i due comuni confinanti erano venuti ai ferri corti, pur di accaparrarselo.

Fu così che si preparò alla sua prima esperienza lavorativa importante. Ne parlarono in casa e, a tavolino, decisero il da farsi. In primo luogo ci voleva la macchina, visto che la patente c’era già; una macchina piccola a benzina da comprare a rate per ripagarsela pian piano togliendo qualcosa allo stipendio. Poi bisognava comprarsi qualcosa di decente con cui vestirsi, mica si poteva andare al lavoro con quei capi dozzinali con cui si stava in casa o, al massimo, si poteva andare a scuola. Per il pranzo avrebbero deciso più in là; era più conveniente pranzare al self-service del centro commerciale a dodicimila lire, poiché il negozio dalle 13 alle 15 chiudeva, oppure percorrere quattro volte al giorno i nove chilometri che la separavano dal posto di lavoro? Fecero due conti e stabilirono che era meglio mangiare al self-service, non tanto per il risparmio quanto per la strada, il pericolo, la nebbia, la pioggia, ecc. Le prime volte, anzi, provò a portarsi qualcosa da casa, ma si vergognava terribilmente a tirare fuori “la mmalletta” quando tutte le sue colleghe andavano al ristorante!

E così iniziò il suo primo lavoro, non interessante, non faticoso, non alienante, lavoro e basta. Doveva  tenere a freno le proposte oscene e i piccoli ricatti che i vari maschietti/capetti ogni tanto cercavano d’imporle, ma era sveglia, la Lisa, e sapeva difendersi, cosicché dopo poco tempo nessuno le diede più fastidio, attirandosi l’appellativo di “…acida…vedrai che quando lo prende anche lei, si addolcisce…”

Passò il primo mese durante il quale si mantenne con i risparmi dell’estate precedente poi, finalmente, il cinque del mese il primo stipendio! Il milione e tocca non arrivò nemmeno al venticinque ma non se ne preoccupò; l’euforia del primo stipendio, qualche debituccio arretrato con la sorella, qualche regalino non rinunciabile, la rata dell’auto, il bollo pagato a metà con papà, fatto sta che si fece prestare dei soldi per arrivare al cinque successivo. Nel frattempo aveva preso l’abitudine, con le sue colleghe dopo il pranzo, di fare un giretto in quei negozi del centro commerciale che facevano orario continuato. Una volta era un completino slip e reggiseno, una volta un pullover, un’altra un paio di scarpe, fatto sta che raramente tornava a casa senza aver comprato qualcosa di più o meno utile, ma, del resto, facevano tutte così! La spesa, quella poi, quasi tutti i giorni; che fai, hai la fortuna di lavorare in un centro commerciale e fai spesa fuori? Ma sei matta?

Passavano i mesi e solo una volta riuscì a non spendere tutto ciò che guadagnava. Nel frattempo, il Direttore, per venire incontro ai dipendenti e non far spendere loro troppi soldi fuori, pensò bene di organizzare il cenone di Capodanno e, successivamente, il Carnevale, nell’ampio atrio del centro commerciale, a prezzi modici, iniziativa che riscosse un gran favore tra il pubblico, a giudicare dalle famiglie che vi parteciparono e dalla gran quantità di mamme che osservavano trionfanti, fumando, le evoluzioni spadaccine dei loro piccoli Zorro, D’Artagnan, il Gladiatore. Anche Lisa partecipò alle due iniziative con le sue amiche, tanto, quando ci sono le feste, non si sa mai dove andare!

Dopo i primi sei mesi fece un primo bilancio; per cinque volte aveva dovuto chiedere i soldi a casa, restavano dodici rate dell’auto da pagare e, per quanto riguarda l’aumento, il capo del personale rispondeva sempre “…vedremo, vedremo, ma se insisti possiamo sempre assumere altre ragazze con il tuo attuale contratto. Ce ne sono sempre tante là fuori che non chiedono altro…!”

Si riunirono di nuovo in famiglia, come sempre quando bisognava prendere decisioni importanti. Lei propose di prendere un mutuo per continuare a lavorare, ma le banche nel frattempo erano diventate usura legalizzata, visto che davano lo 0,125 per cento d’interessi sui depositi e pretendevano il 12,50 per cento sui prestiti, per cui il padre, da vecchio saggio, bocciò la proposta della figlia stabilendo che, se doveva pagare degli interessi a una banca per poter far lavorare Lisa, tanto valeva continuare a mantenerla per qualche anno, in attesa di un lavoro meglio retribuito. Anche Lisa pian piano se ne convinse e, a malincuore, si licenziò. Avrebbe continuato a fare i lavori stagionali all’aria aperta, la vendemmia, i pomodori, la cameriera nel ristorante vicino casa sua, quando occorreva, aspettando tempi migliori.

(…)

Questo racconto porta la data del 2001 e Francesco Ribes lo ha pubblicato nel giornalino locale Controcanto, chiuso quattro anni dopo. È ispirato a una storia vera e quello che lo rende interessante per noi è che fissa in chiave femminile l’arrivo dei centri commerciali in provincia, nel caso specifico nella provincia maceratese, dove l’autore vive. Quando ho chiesto a Francesco (di cui potete leggere qui anche All’isola da amare e difendere) come avremmo potuto illustrare il suo racconto, mi ha mandato questa magnifica farfalla, Lisa, fotografata da lui. E queste parole: «Allora, Lisa è una ragazza, una farfallina che ha provato a volare e che è finita su un cono d’ombra. Sulla punta delle ali c’è però ancora il sole, per cui riprenderà il volo interrotto con più coraggio e forza di prima».

Paola Ciccioli

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