Quel giorno, a Urbino, la parola “guerra”

di Maria Teresa Sgattoni

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Aggiorniamo questo bel post con l’immagine simbolo della mostra “Different Wars” che si è aperta oggi alla Casa della memoria di Milano: un interessante confronto su come i libri di testo raccontano la seconda guerra mondiale nelle scuole di Italia, Repubblica Ceca, Germania, Lituania, Polonia e Russia. http://www.casadellamemoria.it/ Nella foto: ottobre 1944, dopo la rivolta di Varsavia, gli abitanti lasciano la città. © Archivio di KARTA

Ricordo chi c’era quel giorno, al rettorato, com’ero vestita, come è andata e dove sono andata, dopo.

Mi sono laureata in Lettere ad Urbino il 25 febbraio del 1946, alle 17,30, relatore il professor Francesco Valli. Chi c’era quel giorno nella commissione di tesi di laurea, nella sala del rettorato? Non c’era il professor Mario Apollonio. Si era trasferito in un altro ateneo. Di lui avevo seguito, per tre anni, le splendide lezioni, i corsi monografici, tra cui quello su Pascoli, e con lui avevo concordato l’argomento della tesi. Non c’era Carlo Bo. Di lui avevo seguito i corsi di storia e letteratura francese e di filologia romanza. Non c’era Fabio Cusin. Con l’aiuto dei loro libri ho preparato tante lezioni: ho insegnato per quarant’anni nelle scuole medie e mi sono sempre sentita orgogliosa di averli conosciuti.

C’era, molto attento, il professor Valli, che aveva sostituito Apollonio e mi aveva rivolto gentili parole di approvazione e incoraggiamento dopo aver letto lo schema e le bozze della tesi, scritti a mano e consegnati nel novembre del 1945.

Il relatore aveva presentato bene il mio lavoro: ero rincuorata e contenta. Sul tavolo c’era la mia tesi, finalmente, rilegata in verde chiaro. Un amico, Nino Baldeschi, aveva trovato il rilegatore; le pagine le aveva battute a macchina, pochi giorni prima, un’anziana signora, disposta a lavorare con tempi ristretti e una macchina da scrivere non efficiente.

La tesi era sulla storia della critica del Pascoli, non sulla poetica del Pascoli, tanto meno dei simbolisti francesi, come feci notare al giovane professor Pino Paioni, in commissione come sostituto di Carlo Bo, che incominciò a fare un sacco di domande. Risposi con decisione, sostenuta dai suoi colleghi e dai miei amici in sala, e tacque.

Oltre alla tesi, allora, si discuteva una tesina; la mia era sul mondo di Pinocchio.

Il lavoro di ricerca e di scrittura della tesi era stato lungo e faticoso, dati i tempi. Ero riuscita a laurearmi solo con grande volontà. Voto finale 101. Nella sala del rettorato, molto fredda, avevo il paltò blu che era stato di mio padre e che avevo fatto riadattare durante lo sfollamento. Sotto avevo una gonna blu e un maglioncino rosa-lilla. Li indossavo ancora alle 20 e 30, nel caffè sulla piazza, quando bagnai la laurea con tre amici e mio fratello Gianni, iscritto a farmacia. Il professor Paioni entrò casualmente e mi offrì caramelle e una sigaretta. Facemmo la pace, mi raccontò qualcosa della discussione avvenuta in commissione per assegnarmi il voto finale. Tornata a casa, scrissi con attenzione alcuni appunti sul pomeriggio e sulla serata, direttamente sui fogli della tesi. Li ho riletti dopo sessant’anni, ieri.

La tesi mi sembra ancora un buon lavoro. La pergamena che l’Università mi consegnò nel maggio 1946 è stata ritrovata da mia figlia Anna ed è a casa sua, a Firenze, incorniciata; è un po’ scolorita, ma si legge bene che Umberto di Savoia era luogotenente generale del Regno, che il professor Giuseppe Branca era il Rettore dell’Università degli Studi di Urbino, che il professor Alessandro Ronconi era il preside della facoltà di Lettere.

Tra tutti i giorni e gli avvenimenti degli anni di università il mio ricordo più vivo è del pomeriggio in cui venne dichiarata la guerra: 10 giugno 1940.

Ero insieme ad una decina di studenti di varie facoltà, ci eravamo incontrati nella villa di campagna di uno studente di Urbino, Michele Renzetti, per salutarci prima delle vacanze estive. Ritornando verso il centro abbiamo sentito le voci degli altoparlanti che invitavano a ritrovarsi in piazza per un’importante comunicazione. Nella piazza sono state scandite le parole della dichiarazione di guerra. Noi siamo rimasti in silenzio, in mezzo al clamore. Abbiamo chiuso la serata con una passeggiata nello stradone verso Pesaro, e poi mangiando cresce calde, seduti su un muretto. Ci saremmo separati per qualche mese e la malinconia che provavamo era solo per questo, mentre mordevamo le cresce.

Ad ottobre ci siamo rivisti, ma presto parecchi amici sono stati mandati a combattere e alcuni non sono tornati.

IMG_0727Questo è un estratto da Ricordi di una vecchia studentessa. 25 febbraio 1946-25 febbraio 2006, contenuto in Cinquecento e lode, raccolta di una selezione dei racconti che hanno partecipato al concorso letterario promosso dall’Università di Urbino in occasione del cinquecentenario della sua fondazione. I ricordi di Maria Teresa Sgattoni hanno vinto il secondo premio della sezione dedicata agli studenti di ieri. È un omaggio alle donne che prendono appunti e alla città nella quale molti di noi si sono formati e hanno imparato a percorrere la strada della libertà.   

(Paola Ciccioli)

AGGIORNATO L’11 GENNAIO 2017 

3 thoughts on “Quel giorno, a Urbino, la parola “guerra”

  1. Maria Elena Sini ha lasciato questo commento nel nostro gruppo FB: «Bello questo ricordo della laurea ad Urbino nei difficili anni della guerra e dell’intensità del rapporto tra compagni di studi. Come dice giustamente Paola Ciccioli in conclusione del post, in quella città anche io, lei e tanti altri amici ci siamo formati in quel periodo che viene definito “gli anni di piombo”, anni confusi e contraddittori, caratterizzati da grandi manifestazioni e sconvolgimenti sociali nei quali abbiamo imparato a difendere i valori nei quali credevamo e abbiamo affermato il desiderio di indipendenza e di libertà intellettuale. Nella nostra epoca non incombeva una guerra che ci avrebbe separato, così alcuni dei rapporti nati in quella città, forse quelli segnati da una maggiore affinità, si sono mantenuti nel tempo, altri si sono persi ma l’importante è aver vissuto al massimo quell’esperienza, almeno finché è durata».

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