di Catullo*
Salute a te ragazza dal non picciol naso,
non bello il piede, non gli occhietti neri,
non lunghe le dita e asciutte le labbra,
né retta né granché elegante la parola,
tu, del Bancarottier di Formia amica.
Ma che, in provincia passi per graziosa?
Ti mettono alla pari con la nostra Lesbia!
Oh secolo ignorante e insulso!
* Questa delizia è tratta da “I Carmina a Lesbia. Tradotti e illustrati da Gabriele Mucchi” (Nicolodi editore, 2003). Me lo ha regalato, e autografato, Alessandro Quasimodo al quale il pittore aveva sottoposto le sue traduzioni di Catullo, per avere un parere. «Perché Catullo? Ora?» , chiede e si chiede Gabrielle Mucchi nella sua lettera ad Alessandro, riprodotta nel prezioso volumetto. «L’avevo un po’ dimenticato, non avendo a portata di mano un editore, preso invece da altre cose necessarie. Però ora le cose stanno così: ogni giorno diminuisce – me ne accorgo – la possibilità che la mia vita duri ancora anni. Dovevo dunque con la mia morte far morire anche il mio Catullo, se vale abbastanza da non buttarlo nel cestino?».
Le grandi parole della modestia.
«A ridar vita al non dimenticato latino degli studi classici – spiega Mucchi nella nota introduttiva – e a cimentarmi con tanti traduttori di Catullo, mi ha portato l’incontro con l’agitata storia d’amore del poeta per Clodia, la seconda moglie di Metello Celere, da Catullo chiamata Lesbia. Storia svolta, se il mio conto vale, in 38 dei suoi 116 Carmina. Storia espressa in tutte le voci liriche possibili, dalle dolcissime alle irate alle erotiche e oscene, alle sprezzanti, disperate, anche drammatiche».