di Chiara Volpato*

Chiara Volpato
La ragione forse più profonda per cui l’Italia ha mancato e continua a mancare l’appuntamento con la propria storia e con la propria coscienza critica è il ritardo culturale che la contraddistingue. L’arretratezza sulla questione di genere è parte di una arretratezza più ampia.
Come indicato da Tullio De Mauro (2010), la società italiana presenta un grave ritardo rispetto agli altri paesi europei; pensiamo al fatto che il 5% della popolazione adulta è da considerarsi analfabeta e che meno del 10% degli adulti è laureato, contro una media europea del 21%. Secondo l’Ocse, nella classifica sulla condizione educativa (misurata sulla capacità di capire il titolo di un giornale, un semplice questionario, un avviso) l’Italia occupa il penultimo posto tra una trentina di paesi industrializzati. Nella classifica, invece, sugli investimenti in conoscenza, siamo il terzultimo paese (dietro di noi Portogallo e Grecia); del resto, il mercato editoriale francese rappresenta il doppio di quello italiano, per una popolazione solo di poco maggiore. È stata proprio questa debolezza strutturale della nostra cultura a facilitare, negli anni Ottanta, l’accettazione della paccottiglia trasmessa dalle televisioni commerciali, divenute, per lucida scelta politica, strumento di raccolta del consenso e di controllo della pubblica opinione. La mancanza di una legge sul conflitto di interessi ha poi permesso che le televisioni, mezzo privilegiato di formazione e informazione di una popolazione poco acculturata, fossero controllate da una stessa persona. La concentrazione del potere mediatico e la volontà, di chi quel potere deteneva, di usare l’intrattenimento – calcio e spettacolo – per abbassare ulteriormente il livello culturale e, con esso, la capacità di giudizio, morale e politico, ha portato alla proliferazione delle immagini della donna oggetto e al revival del maschilismo.
Il progetto berlusconiano non avrebbe però così facilmente vinto, arrivando a cambiare l’antropologia stessa del popolo italiano, come sostenuto da Umberto Eco, se la sinistra non avesse contribuito, se non altro per omissione, a questa deriva. E non parlo solo delle omissioni in fatto di leggi sul conflitto di interessi, ma di omissioni nella riflessione culturale sui rapporti di genere.
Sulla questione di genere la sinistra si è mossa tra complicità e indifferenza; complicità antica con il sessismo quotidiano, percepito come “popolare”, e quindi intangibile, un sessismo che ha abitato e continua ad abitare sezioni, riunioni, congressi; indifferenza, che ha impedito di vedere nella questione maschile uno degli aspetti centrali della politica italiana, un aspetto che non riguarda le donne, ma la stessa convivenza civile di questo paese.
* Tratto da “Psicosociologia del maschilismo” (Universale Laterza, 2013). Chiara Volpato è ordinario di Psicologia sociale all’Università Bicocca di Milano. Qui gli altri suoi interventi su questo blog. (p.c.)