di Maria Cumani*
La danza
La danzatrice, in quanto tale, presuppone una capacità creativa. Non esegue su suggerimenti del coreografo (vedi le ballerine) ma compone le sue danze forte sì della sua tecnica, ma libera nell’esprimere le ragioni del suo intimo estro poetico. Valery dice: “Elle à force de nier par son effort l’état ordinaire des choses, elle crée aux esprits l’idée d’un autre état, d’un état exceptionnel – un état qui ne serait que l’action, une permanente qui se ferait e se consoliderait au moyen d’une production incessante de travail, comparable à la vibrante station d’un bourbon…”.
E proprio questo intenso consumarsi, alimentato dallo spirito, lo vediamo nelle manifestazioni più profonde della danzatrice. La sua danza entra nello spazio nostro più segreto oltre l’infanzia nel luogo dei sogni.
Sulla danza
Forse che ho scelto la danza perché non sopportavo l’idea di essere abbandonata dall’infanzia? Non volevo diventare adulta. Il mito di Peter Pan mi aveva contagiata? Ricordo come ancora bambina, troppo bambina e ingenua e smemorata sul reale mi misuravo la sera prima di coricarmi, e pure il mattino, nella speranza di non crescere, restare per sempre bambina! Un vago sospetto mi sfiorava: sarei rimasta una nana. Un mostro quindi? Allontanavo questa idea – per me – sarebbe avvenuto il miracolo?
Non mi piacevano le signore.
(…)
Ancora sulla danza
… Come rendere visiva con le parole la persona che danza? Essa è l’instabile, profonde l’instabile, attraversa l’impossibile, abusa dell’improbabile. È colei che a furia di negare con i suoi sforzi lo stato ordinario delle cose, crea agli spiriti l’idea di un altro stato. Paul Valery paragona la danzatrice a una fiamma…
È proprio questo intenso consumarsi e trasformarsi nell’aria che dà la stessa gioia della poesia e della musica in una resa di ordine superiore.
La mia vita più vera è nei sogni: intendo dire del “sogno” come rivelazione di ciò che noi non possiamo mai raggiungere. La conquista della Danza, per me è stata lenta e difficile, con ogni mezzo sempre ostacolata. Non è possibile raggiungere quello che possediamo se non con uno sforzo severo e prolungato. Ci avviciniamo a noi stessi non mettendoci contro noi stessi. Trovo la mia libertà finalmente attraverso la costrizione. Ripiegandomi su me stessa scopro le ragioni che mi portarono a esprimermi in Danza.
La mia danza raggiunge le anime perché non fu formata da alcuna scuola. Dicono che subito si entra nel mio ritmo che viene a essere il loro ritmo. Respirano con la misura del mio respiro. Questo mi dicono molti che amano e comprendono la danza.
Perché danzo?
Perché danzo? Perché non scrivo invece? Forse se il mio corpo non fosse così armonioso in ogni sua parte, se le mie gambe non fossero così lunghe modellate, forse, non mi piacerebbe tanto danzare? E se non sapessi mettere tanta gracilità nelle spalle e nel passo, in una tunica povera e nuda, mi piacerebbe tanto danzare? Forse io danzo perché sono ambiziosa? No, io danzo per sentirmi viva, viva in un mondo impossibile e realizzarmi sulla terra.
*Sono pagine del diario di Maria Cumani, pubblicate nel volume L’arte del silenzio. La danza. La poesia. L’immagine, a cura di Delfina Provenzali e con la prefazione di Giovanni Raboni (Spirali/Vel, 1995). Il 5 novembre sarà inaugurata a Firenze una mostra degli abiti della danzatrice, coreografa, attrice, scrittrice e poetessa, donati a Palazzo Pitti dal figlio Alessandro Quasimodo. (Paola Ciccioli)
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