di Mariagrazia Sinibaldi
…Erano belli i miei piedini: lunghi… affusolati… anatomicamente perfetti… il secondo dito più lungo del primo…. PIEDI EGIZI.
I più belli della riviera marchigiana… Il mio non troppo nascosto orgoglio!
Oggi, desolata, li guardo e loro mi sottolineano malignamente, ben più delle rughe, che il tempo è passato.
…Le rughe… mbeh! Le rughe le vedi tutti i giorni, anche più volte al giorno: le curi… le rimedi in qualche modo con cremine e cremette… massaggini e massaggetti… con colori qua e là, collegati tra loro da sapienti sfumature… Ti ci abitui in qualche modo, dedicando loro, ogni giorno, qualche secondo in più.
…Ma i piedi… i piedi gli dai un’occhiata la mattina e una la sera… e tiri via.
Oggi li guardo e dico tra me e me: mbeh, doveva succedere!… il tempo… l’uso…
…E no! Diciamocela tutta! L’uso sconsiderato… e dico e ripeto e sottolineo: SCONSIDERATO!!!!!
Insomma… la cosa è cominciata così:
“Visto che vai in Italia… visto che passi per Roma, dissi un giorno a mio marito (vivevamo, allora, in Marocco), trova un po’ il tempo di passare dal nostro ‘scarparo’ di fiducia e comprami un paio di scarpe da sera… nere… modello Chanel” e intanto, lui ed io, guardavamo pensosamente le mie scarpe da sera nell’armadio: tutte con la punta aperta.
Mi chiedo, oggi, cosa pensasse mio marito in quel momento. Non certo quello che pensavo io: “La punta aperta è decisamente fuori moda!” E lo dissi a voce alta, col tono di chi non ammette repliche e con il vigore di chi sa tutto in fatto di scarpe.
“Punta chiusa, un po’ rotonda… n° 39…”. E ripetei, con voce ferma: “Chiuse in punta! Mi raccomando!”.
Arrivarono, queste scarpe: meravigliose! Proprio come dicevo io: nere… di raso… la punta rigorosamente chiusa… un po’ rotonda, ma non troppo… marca francese… Proprio comme il faut!
“Il commesso – disse mio marito en passant – ha detto che sono n° 38, ma che, essendo francesi, calzano più di quelle italiane!” e lo disse con tono fermo, come per dire “Contentati”.
Il n° 38… Sì, in effetti erano… come dire? un po’ cortine… il tallone… sì… ecco… appunto… usciva un po’ fuori della scarpa… Ma erano così chic… così chic… che questa piccola cosa… c’etait un rien.
Et voilà… per ricevimenti e night club, come si usava lì.
Ma una piccola cosa era rimasta nel mio cervello scemo: n° 38!
Mi sembrava, chissà perché, anche lui molto chic, molto più di quel contadinesco e volgare 39!
Fu questa la catastrofe! La maledizione! L’inizio della fine!
Perché da quel momento in poi continuai a comprare scarpe, di qualunque paese fossero, n° 38!
…38! Quasi un numero magico!
…38! Abbastanza grande da sostenere la mia altezza: 1,68 (è chiara l’analogia? 68–38) ma già abbastanza piccolo da poter dire: ‘piedino’!
…E via col 38! Ogni volta che compravo un paio di scarpe si ripeteva la stessa scena, qualunque fosse la stagione, il negozio, la marca, il commesso: “che numero, signora?” E io, rapida e sicura: “38!” Spesso il commesso (all’epoca ancora esistevano i commessi, e questa è una nota per i più giovani che non sanno) dava un’occhiata distratta al mio piede, poi andava sul retro e tornava con due o tre scatole, più un’altra nella quale, come per caso, erano adagiate, ma guarda un po’ la stranezza, un paio di scarpe numero 39: scarpe che io malevolmente disdegnavo.
…E uscivo dal negozio con i piedi doloranti, stretti schiattati in meravigliose scarpe n° 38!
Così per cinque lunghi anni fino a quando un giorno (e Dio benedica quel giorno!) passai davanti ad uno di quei negozi che espongono in vetrina mille rimediucci per piedi sconocchiati e indolenziti.
Spinta da divina ispirazione, entrai: sembrava che mi aspettassero.
Un signore dai modi gentili mi fece accomodare in un camerino, mi invitò a togliermi scarpe e calze, mi fece poggiare i piedi su una pedana centimetrata a specchio, tirò un dito, tirò l’altro. Girò i piedi e li guardò sotto. Poi con la nocca del suo dito medio batté ripetutamente sul collo del piede, primo l’uno poi l’altro (una visita veramente accurata! Pensavo soddisfatta). E intanto un immenso punto interrogativo gli si disegnava sul viso e infine con voce leggermente tremula “mi scusi, Signora – mi chiese – ma Lei, che numero di scarpe calza?” E io, orgogliosa: “38!”
“Ma Signora – costernato, si lamentò lui – Lei calza il 39 !!!!!” e infine, prendendo tra le mani fresche il mio piede tumefatto e dolente, mormorò: “poverino!” e lo carezzò con delicatezza come fosse stato un pupo appena nato.
Mi decisi, così, a comprare scarpe n°39… ma per trovarle!… Queste sì, queste no… queste sono larghe, queste sono strette (strette, dico, no corte), queste non mi piacciono, queste non sono adatte…
Ma a questo punto i miei piedi cominciarono a vivere di vita propria: si allargarono, si schiacciarono, si incurvarono innaturalmente: il 2° dito del piede destro si cacciò sotto l’alluce, mentre nel piede sinistro avvenne il contrario: il 2° dito montò allegramente sull’alluce, mentre il 3° si nascose timidamente sotto la pianta.
Cominciò il periodo dei negozi di ortopedia: plantari, supportini, cerotti più o meno autoreggenti…
Bombolette spray, cremine varie e tutto ciò, ognuno per suo conto, prometteva i miracoli del vangelo!
Si proseguì, quindi sulla strada degli interventi chirurgici, più o meno invasivi: prima il piede sinistro, poi quello destro, poi di nuovo quello sinistro; il tutto sempre accompagnato da scarponi speciali, stampelle, incerottamenti di varia forma… Insomma alla fine ero diventata la favola del quartiere: “Ancora Signora?? Cos’è questa volta? Ah, ecco, il sinistro (o destro, a seconda) Auguri, Signora”.
Inoltre, essendo stati tagliuzzati a dovere per tutti i versi, poveretti! hanno perso sensibilità: ragione per cui quando cammino in ciabatte, senza accorgermene, me ne perdo una lungo la strada e mi tocca andarla a riprendere almeno 5 passi all’indietro!
Adesso, il 30 di novembre (questo magnifico racconto è di qualche mese fa, ndr), mi sottoporrò all’ennesimo intervento, avendo avuto cura di cambiare ortopedico e ospedale. Dopodiché: STOP!
È inutile, dico io, andare affannosamente alla ‘recherche du temps perdue’.
Dopo tutto, dico io, alla veneranda età di 78 anni posso pure permettermi il lusso di avere degli
ORRIDI PIEDACCI!!!!
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Certo, Margherita Rinaldi mia, che quello dei piedi e relative calzature, è un argomento altamente istruttivo. Ognuno di noi vive una sua realtà, relativamente alle estremità inferiori. Adesso la mia realtà è questa: dopo 3 anni di entra e esci dagli ospedali ho riacquistato i miei piedini di fata!… oh dddio, siamo giusti non proprio ….. ma insomma chi s’accontenta gode! ma sopratutto ho adesso la possibilità di mettermi un paio di sandali e di rimirare, soddisfatta, le unghiette dipinte di rosso! Ma essendo in età direi avanzata, mi tocca cominciare a cambiare i pezzi alle ginocchia…. Insomma, cara mia un vero e proprio sentiero pieno dii sassi, quello degli ultimi anni della mia vita. Non posso dimenticare le parole dell’ortopedica il quale, avendo guardato le radiografie ha esclamato: e si sbrighi a operarsi, sennò con l’età che c’ha, quanto se le gode? …. mbeh, dico io, sbrighiamoci!
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Nell’ottica dei ricordi rivolga un mega saluto a Marco, Sig.ra Sinibaldi, da Gianfranco, un compagno di scuola (Bruno da Osimo).
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Volentieri passerò i suoi saluti a Marco!…. Ma mi tolga una curiosità:quale è stato il percorso da Lei seguito per collegare Marco a me? saluti Mariagrazia Sinibaldi
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Tre elementi colti dalle sue righe, che con mia moglie mi sono soffermato a leggere con interesse, esattamente: 1) il cognome Sinibaldi, 2) “foto Arduino Cianciotta” e 3) “..vivevamo allora in Marocco…”, hanno solleticato la mia curiosità. Ho poi notato un riferimento a Marco, circa il servizio militare, e non ho potuto che trarre con piacere le mie conclusioni. Mi ricordo anche, perdoni l’esuberanza un po’ invadente dei ricordi, i suoi collaboratori domestici dell’epoca Sig.ra Fatima e Sig. Kadè conosciuti ad una festa di compleanno alla quale Marco aveva invitato la classe.
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caro Gianfranco, davvero non le perdono l’esuberanza dei suoi ricordi, (che non sono invadenti, nella maniera più assoluta) perchè, non c’è nulla da perdonare ma c’è invece da ringraziare per averci tenuto in qualche cassetto sperduto della memoria e in questa occasione ritrovato e riaperto. Mi saluti simpaticamente sua moglie
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Altrettanto simpaticamente Alessandra, mia moglie, ricambia i saluti.
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