Un osceno processo, un reintegro e un cappotto

Paola Ciccioli con i suoi avvocati e l'amica Alba subito dopo il reintegro.

Paola Ciccioli con i suoi avvocati e l’amica Alba subito dopo il reintegro

di Paola Ciccioli

«Come ti vesti, domani?». Mia sorella aveva chiuso con questa domanda il nostro consueto saluto, lunedì sera, prima di affrontare la notte e l’attesa della decisione del giudice Marco Lualdi sul mio licenziamento da Panorama.

Già, come ci si veste in circostante del genere? L’abito interiore l’avevo trovato da tempo, quello che lo riflettesse esteriormente ancora no. Avevo scartato il visone chiaro che mi ha regalato Brunella. Sere fa ho dovuto affrontare anche il rimbrotto animalista della cameriera della mia trattoria sotto casa, per quel visone. «Guarda che ci sono delle ragioni molto profonde per le quali lo indosso», avevo cercato di giustificarmi. Ma lei niente: «Da te, Paola, non me lo aspettavo».

Da bambina, mi raccontano, ero eternamente abbarbicata a una pelliccia di coniglio appartenuta non si sa bene a chi. Non me ne separavo mai e, arrivata l’estate, mia madre decise allora di staccare una manica e lasciarmi ciucciare quella, senza che mi trascinassi appresso tutto il resto. Brunella, che questa storia la conosce, mesi fa ha lasciato il suo grande appartamento di San Babila e ha deciso di regalarmi tutto (o quasi) quel che di peloso le apparteneva. Entrata in possesso di uno stock di visoni, castori e stole di varia natura, ho girato tutto al pessimo (l’ho scoperto in corso d’opera) pellicciaio di viale Zara e, dopo puliture e rimodernamenti, ho girato la mercanzia a donne che sapevo avrebbero desiderato e gradito. Trattenendo per me il visione chiaro, versione adulta del coniglio e della ricerca di calore di allora. Ma per l’udienza decisiva davanti al Tribunale del lavoro di Milano, in via Pace, non andava bene.

Prima di addormentarmi, lunedì sera, la scelta sembrava fatta: cappotto nero con fiori ricamati, acquistato a Roma e indossato il giorno in cui ho tenuto a battesimo il mio adorato pronipotino Ettore, che si chiama così perché, come un eroe, ha deciso con ogni sua cellula di venire al mondo e darci la gioia che ci dà. Quel cappotto mi ha fatto compagnia anche in un recente e fondamentale appuntamento con la mia vita intima, quindi mi sembrava che potesse andare. Ma. Ma. Ma. Arrivato, finalmente, martedì 8 gennaio 2013, l’armadio ha deciso che l’abito giusto dovesse essere un altro. E le mie mani sono tornate a sfiorare il cappotto che mi proteggeva il giorno in cui mi sono ritrovata, nel 2007, in una buia aula del tribunale penale di Milano a dovermi difendere dall’accusa di aver diffamato qualcuno che non avevo mai minimamente diffamato. Ero finita sotto processo per l’errore, chissà se errore, di altri. E nessuno a Panorama e in Mondadori aveva ritenuto moralmente doveroso stabilire chi aveva fatto che cosa. Avevo comprato la casa da poco grazie a un mutuo e a quanto mi aveva lasciato mio padre. Mio padre che, mentre io ero in tribunale a rischiare una condanna ingiusta e una possibile richiesta di risarcimento dei danni, la mia famiglia stava commemorando a Urbisaglia. Il giorno di quell’osceno processo era anche il giorno dell’anniversario della sua morte.

«Che bel cappotto, Paola», mi ha detto Alba , martedì, quando ci siamo salutate davanti al Tribunale del lavoro, prima dell’udienza sul mio reintegro.

Sì, un bel cappotto davvero.

5 thoughts on “Un osceno processo, un reintegro e un cappotto

  1. E’ incredibile scoprire quanti significati possono esserci dietro un normale capo di abbigliamento…..Ma in momenti così delicati tante storie si legano, il passato, il presente possono essere evocati semplicemente sfiorando un tessuto.

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  2. capita spesso che un profumo, un paesaggio, un soffio di vento, un capo di abbigliamento, possa riportarci in un determinato luogo,in un determinato momento della nostra vita quasi fosse una macchina del tempo, e forse non è un caso che la tua mano sia finita su quel cappotto, a me che da bambina (e non mi vergogno ma anche spesso da grande) amavo dare un’anima e un nome alle cose più care, sembra di sentire la sua vocina sbucare dall’armadio per dirti ” sono ancora qui per darti calore e conforto nella buona e nella cattiva sorte, portami con te”
    Baci patty

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  3. il tuo cappotto è bello per due motivi, 1) perché mi fa ricordare allo stile Resina, in voga a Napoli decenni fa 2) perché il cappotto significa anche “scacco matto”, messo nel sacco! ed è quello che è effettivamente successo martedì scorso, ed eravamo insieme …. baci Alba

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  4. K8! colpito e affondato. o affrontato e colpito. una battaglia navale in questa milano da bere dove c’è chi affonda in un bicchiere mezzo vuoto. festeggiando compleanni in una balera, giorni fa, chiesi ad alba ‘ma paola???’ e lei mi disse del reintegro e ora mi manda il link a questa pagina e io a casa a cullar tonsille irriverenti, festeggio a suon di pan di stelle in un bicchiere mezzo pieno di via lattea questa tua battaglia! e con un biscotto stellato in bocca penso ‘…peccato ci voglia un giudice per reintegrare una persona integerrima…’ ma poi una stella mi è andata di traverso solleticandomi una tonsilla e penso all’etimo di tonsilla e mi par di capire che il dente lingua dove il batte duole (svampa dixit)… mi resta un solo dente del giudizio: dev’esser quello che mi frega 🙂

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  5. Betta! Tesoro! Ho la casa invasa dalle carte: è soltanto questo che mi trattiene dal preparare un sontuosa cena per tutti noi. Ma ogni promessa è debito! Un abbraccio grandissimo. E grazie grazie grazie. Le nostre chiacchierate da Alba mi sono state d’aiuto.

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