
Una palazzina che crolla a Barletta, dopo giorni di scricchiolii sentiti ma inascoltati. Crolla su un laboratorio tessile dove lavora una piccola comunità di donne: sono operaie senza contratto, guadagnano 3,95 euro l’ora, per 14 ore ogni giorno. Muoiono in 5: quattro ragazze che ogni mattina si trovavano nell’opificio e con loro la figlia adolescente del titolare. I loro nomi – Maria, Matilde, Giovanna, Antonella, Tina – e le loro voci che per alcune ore sono arrivate da sotto le macerie raccontano una parte del Paese, il nostro Paese, che spesso dimentichiamo. Non vediamo, non denunciamo. Come ha detto il presidente Napolitano “è una sciagura inaccettabile”. Come inaccettabili sono le tante situazioni di precariato che si stanno moltiplicando in Italia.
Questo post è per le donne di Barletta e contro chi specula al ribasso sul lavoro oltre ogni norma di legalità e di civilità.
Riprendiamo qui l’editoriale che ha scritto Dario Di Vico sul Corriere di questa mattina. Troverete allegato anche il commento di Edoardi Nesi pubblicato sul giornale di martedì.
Cliccando qui potrete leggere anche l’articolo di Valeria Fedeli (presidente della Federazione Sindacale Europea del Tessile Abbigliamento, Cuoio e Calzature dell Cgil) pubblicato oggi su L’Unità con il titolo Le Lacrime e la lotta
Le Macerie e le Storie di un Paese dimenticato
Siamo appesi da almeno otto settimane all’altalena dei mercati finanziari e stiamo dimenticando cosa avviene nel frattempo nel Paese reale? È questa la prima domanda che viene spontanea come reazione – anche autocritica – alla tragedia di Barletta. Alla scoperta che, nell’Italia delle élite che si accapigliano un giorno per l’interpretazione dell’articolo 8 e quello dopo per l’articolo 18, esistono sacche di schiavitù contrabbandata per lavoro. Le quattro operaie morte in Puglia lavoravano senza contratto e in condizioni di sicurezza zero per 14 ore al giorno, pagate meno di 4 euro l’ora. Grosso modo la metà del minimo contrattuale.
Ma dov’erano le autorità che avrebbero dovuto controllare? In Puglia non mi risulta che ci sia al potere un pugno di spietati thatcheriani! Che si possa lavorare in quelle condizioni nel nostro Paese è uno schiaffo per la tradizione sindacale e laburista, per i nostri Primo Maggio e per le centinaia di convegni, con buffet, sulla responsabilità-sociale-delle-imprese e/o il-futuro-delle-relazioni-industriali. Il laboratorio di maglieria franato faceva parte dell’ampio mondo della subfornitura, una propaggine del distretto tessile a nord di Bari. La piccola impresa pugliese ha reagito alla Grande Crisi come ha potuto ma sta pagando duramente gli errori del passato quando il lavoro c’era e le idee no. Se non si riesce a creare un marchio, a salire nella qualità delle produzioni, a unire i destini dei Piccoli in una rete di imprese, si rimane per tutta la vita fasonisti o cappottari e si finisce per ricorrere al dumping sociale pur di non chiudere bottega. Non possiamo però archiviare Barletta solo come la storia di un territorio che non ha sprigionato innovazione, saremmo terribilmente ingiusti nei confronti delle vittime e assolutori verso chi non ha mosso un dito per impedire l’illegalità e si è girato dall’altra parte. La verità è che la tragedia pugliese reca anche il segno di un Paese che si sta pericolosamente adattando al ribasso. Che sta raschiando il fondo del barile. Nella scala della competizione globale in alto ci sono sicuramente i nostri prestigiosi brand del lusso ma in basso la grande pancia delle micro-imprese è sottoposta a un sommovimento tellurico. E per resistere scende metaforicamente di uno o due piani, scommette di nuovo sul sommerso. Così rinuncia alla sicurezza dei laboratori, evade tutte le norme possibili, sfrutta il lavoro oltre ogni principio di civiltà. Ma non è certo questo il futuro che ci meritiamo.
la tragedia nella tragedia e che ci sono solo vittime, i carnefici sono invisibili. perchè è vero che è inaccettabile lavorare in nero a 3.95 l’ora, ma è altrettanto vero che probabilmente era l’unico contratto che i titolari potevano paradossalmente offrire: la crisi, le banche, la concorrenza cinese, fanno si che in italia ci siano sempre più realtà di questo tipo, che per assurdo i lavoratori accettano perche’ l’alternativa è non lavorare affatto. non credo che i titolari di questo laboratorio siano “ricchi”, rispetto alle ragazze che ci lavoravano, stiamo parlando di una guerra tra poveri per far diventare sempre più ricchi i veri ricchi, quelli delle feste, delle imbarcazioni da 20 metri, delle case intestate alle badanti delle mamme, quelli che vanno a letto con le minorenni, quelli che ci hanno detto fino a ieri che la crisi non c’è, quelli che oggi ci hanno fatto diventare di fatto una colonia tedesca. e so di dire una grossa cattiveria, quelli a cui non capiterà mai una disgrazia così inaccettabile perch’ non si muore schiacciati dai detriti facendo shopping in via montenapoleone. un abbraccio a queste ragazze che se ne vanno in maniera assurda e un abbraccio ancora più forte alle loro mamme a cui si è spenta la luce.
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