di Nando Dalla Chiesa
Un’altezza da bambina e un cuore da leonessa ferita. Ninetta Burgio è così. Timida e gentile, imbozzolata nei suoi 1.45 che la nascondono in pubblico e costringono sempre a puntar lo sguardo se sta in mezzo a qualcuno. Neanche ora che ha superato i settantacinque si è stancata di chiedere giustizia, di aggrapparsi alla memoria di un figlio poco più che ragazzino. Il suo Pierantonio glielo uccisero tanti anni fa, era il 1995. A volte le pare un secolo, a volte le pare ieri. Accadde a Niscemi, provincia di Caltanissetta, un viluppo di strade in anarchia e tracce di solennità antica, il respiro della mafia che soffia nella gola e nelle abitudini anche di tanti che mafiosi non sono. Non erano mafiosi gli assassini di suo figlio. Un gruppo di coetanei, tutti tra i diciassette e i venti. Ma agli ordini di mafiosi, questo sì, a quel tempo a Niscemi dominavano i clan Campisi e Giugno.
Iniziò tutto per caso. L’incendio notturno di un’auto, uno dei tanti di quei mesi, fatti su commissione per piegare chi si opponeva al pizzo. Pierantonio appena diciottenne che passa in auto e vede, loro che se ne accorgono. Uno è quasi suo amico così se lo portano in campagna per sapere. Lui capisce e nega. Finché spunta una cintura e gliela mettono al collo. Strangolato un po’ per fargli paura un po’ sotto l’effetto della droga. E poi lasciato in un bosco sotto un’ammucchiata di pietre. Adolescenti che imitano i grandi. Ma i grandi danno l’ordine: tornate e seppellitelo. Lupara bianca. Ninetta aspetta il suo ragazzo e l’attesa non finisce mai. Anni che le consumano la vita e le imbiancano i capelli. Anni di appelli pubblici alla verità, ovunque e a chiunque. Chiedendo, implorando di farle ritrovare il suo ragazzo. Finché qualcuno parla. Siamo stati noi. Cercate lì e troverete Pierantonio. Vengono fatti i rilievi e si procede, spuntano i poveri resti e Ninetta è felice, ha ritrovato suo figlio. Non lo aveva mai creduto possibile che se ne fosse andato -sa signora, ne spariscono migliaia all’anno- senza dirle una parola, nemmeno una lettera da lontano. Comunica il ritrovamento di Pierantonio, sommersa da un applauso commosso, tutti in piedi, un giorno che partecipa a un’assemblea di Libera, perché don Ciotti l’ha presa sotto la sua protezione. Piange di felicità a raccontarlo. E tutti la vedono, stavolta, perché la sala è grande e fatta a gradinate.
Ora Ninetta combatte per sapere. Per avere giustizia, quella possibile quando ci sono di mezzo dei minori, naturalmente. Perché in questi casi non ci si può nemmeno costituire parte civile. Il processo è incominciato giovedì a Catania. Non c’erano né giornali né tivù, queste sono storie minime di provincia che interessano, se va bene, solo la stampa locale. Ninetta ha voluto andarci. E arrivata al tribunale dei minori con la sua avvocato Enza Rando, che ha lo studio a Modena ma di Niscemi è stata vicesindaco e le è stata vicina in tutti questi anni. E qui, davanti alle scalinate dell’ingresso, questa madre coraggio in miniatura ha trovato la sorpresa. Niente stampa ma venti-trenta giovani in festa ad aspettarla, quasi tutti di Libera di Catania, che hanno deciso di non lasciarla sola. Ninetta rideva commossa e tutt’intorno al tribunale la gente e gli avvocati non capivano quella piccola folla in movimento e dicevano che doveva esserci una celebrità, chissà, forse un politico forse un’attrice. Poi Ninetta è salita per assistere al processo. Non può chiedere risarcimenti ma può depositare una memoria. Lo sente come un suo dovere, spiega, stare nel luogo in cui lo Stato intende darle verità su suo figlio. E così è accaduto che lei abbia avuto la prima forma di giustizia, non rituale, non prevista dai codici, ma forse la più bella. Lei che entra in una stanza del tribunale con tanti ragazzi e tanti colori al seguito e l’ imputato che resta solo con la sua famiglia per strada, a misurare il traguardo della (presunta) prepotenza assassina.
Le udienze al tribunale dei minori avvengono a porte chiuse. Perciò quel mondo di solidarietà e di affetto è dovuto rimanere fuori, disciplinatamente in attesa di Ninetta, perché tutti avevano deciso che quel giorno andasse dedicato a lei.
Dentro, a fianco al suo avvocato, Ninetta ha guardato in faccia gli assassini di Pierantonio (due erano allora i minorenni). Ha ascoltato il racconto del giovane pentito. Ha saputo dalla sua viva voce ciò che già sapeva. Pierantonio attirato nel tranello, Pierantonio ucciso, Pierantonio sepolto. E’ rimasta ferma, fiera. Ha sentito anche il dialogo tra il presidente e l’imputato, Giuliano è il suo nome. A conferma di quel che pure le parole più disarmate possono ottenere. Già, perché quel che finora non si è detto è che uno degli assassini del figlio era stato alunno di Ninetta, professoressa alle medie “Manzoni” di Niscemi. Chiede il presidente “ma lei perchè ha deciso di collaborare ?” Risponde il collaboratore: “perchè ho avuto modo di ascoltare e leggere i vari appelli di Ninetta, la mia professoressa, che mi aveva anche invitato a pranzo a casa sua quando ero piccolo. Non ce la facevo a reggere il peso della cosa terribile che abbiamo fatto. Io dovevo farglielo ritrovare, Pierantonio.”
Il cuore di leonessa si è stretto a Enza Rando. Ninetta aveva visto gli assassini di suo figlio. Davanti, da vicino. E ascoltando il racconto dell’allievo si era chiesta per l’ennesima volta il senso di questa violenza. Di un delitto commesso con una cintura da ragazzi comandati da mafiosi. Che, dicono a Niscemi, forse passeggiano ancora oggi per le vie della città.
da Il Fatto Quotidiano – 12 giugno 2011
capitata qui per caso, leggo commossa questo post. pensavo di scrivere da tempo su Ninetta. E presto lo farò.
Maria Rosaria
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