Quell’applauso ad Alessio che ferisce i romeni

di Chiara Saraceno
Non ho dubbi che Alessio Burtone non intendesse uccidere l’infermiera romena quando le ha sferrato un pugno nel metrò di Roma. Ma lo stesso vale forse per la giovane romena che qualche anno fa colpì con l’ombrello un’altra giovane donna, italiana, perforandole un occhio e causando così un’emorragia violenta che provocò una morte quasi immediata.
Eppure, la reazione dell’opinione pubblica, dei politici, persino dei cosidetti “esperti” è stata molto diversa. Gli applausi ad Alessio Burtone quasi che fosse un eroe vendicatore e gli insulti ai carabinieri che lo portavano in carcere sono speculari al modo in cui fu invece trattata la giovane romena diventata assassina per un gesto maldestro: accusata di essere una belva violenta e assetata di sangue. E l’episodio fu subito inquadrato come esempio della  pericolosità dell’immigrazione, in particolare romena, di “loro” contro “noi.  Tantomeno ci fu chi, tra politici e penalisti, sollevò la questione della giovane età, della vita  rovinata per un gesto inconsulto, nonostante la dura condanna della giovane donna a molti anni di carcere privasse una bambina della presenza della madre. Sono assolutamente d’accordo: un omicidio preterintenzionale va considerato diversamente da un omicidio intenzionale. E a chi è giovane deve essere lasciata aperta la via per recuperare, per non perdere del tutto la propria vita, specie se le conseguenze sono andate molto al di là delle intenzioni. Ma ciò deve valere per tutti. Nessuno invece ascoltò a suo tempo la giovane romena. Nessuno prestò fede al suo sbalordimento e al suo pentimento.  Perché era una romena, per definizione pericolosa e soprattutto estranea: facile capro espiatorio di tutte le paure e insicurezze.
Sbaglia Fini a considerare l’episodio della solidarietà scomposta  al giovane romano solo un esempio della violenza urbana, senza connotati etnico-razziali. Non si tratta solo dell’omertà con cui sono stati protetti gli aggressori del tassista milanese. La solidarietà qui è provocata innanzitutto dalla nazionalità della vittima: immigrata, romena, che non sapeva stare al proprio posto. Più simile, nell’immaginario distorto continuamente alimentato da un discorso pubblico troppo spesso irresponsabile, alla giovane assassina preterintenzionale di qualche anno fa, che non alla sua vittima.
Questo discorso pubblico, che usa scientemente la paura e la stereotipizzazione  dell’altro, che distingue vittime e carnefici a seconda della nazionalità, sta lentamente corrodendo il senso comune civile ed ha effetti devastanti su chi manca di adeguati strumenti di auto-controllo.
da la Repubblica – 20 ottobre 2010

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