Un tribunale iraniano l’ha messa a morte. Ma Amnesty vuole salvarla
di Dacia Maraini
Un caso urgente: si tratta di Sakineh Mohammad Ashtiani, condannata alla lapidazione dal tribunale religioso – che coincide con quello civile – e detenuta nel braccio della morte del carcere di Tabliz, a nord ovest dell’Iran. Non è lei a chiedere solidarietà ma i due figli adulti che supplicano il mondo di intervenire. Già molte organizzazioni internazionali, guidate da Amnesty International, si stanno dando da fare.Ma il caso è complicato. La donna di 43 anni è in prigione da cinque. I giudici si fanno forti della sua confessione. Sakineh ha ammesso non uno ma due adultèri. Per questo è stata condannata a morte per lapidazione, secondo le leggi della Sharia. Ma Sakineh ribatte che la confessione le è stata estorta con le nerbate. Per due dei cinque giudici religiosi non ci sono prove certe sulle sue colpe. Intanto la protesta mondiale cresce. E i giudici, preoccupati per l’immagine del loro Paese, hanno sospeso la lapidazione. Non siamo mica ai tempi in cui si sbudellavano i nemici, si impalavano i prigionieri di guerra, si strangolavano le adultere e di tagliava la mano ai ladri. Come possono delle autorità religiose riportare alla luce queste barbarie? Forse rinunceranno alla lapidazione, perché un poco se ne vergognano di fronte all’opinione pubblica, ma ribadiscono subito dopo che la condannata sarà impiccata. Insomma non hanno nessuna intenzione di rilasciare la detenuta. Anche gli uomini adulteri vengono lapidati seppure più raramente. La legge religiosa dice però che l’uomo deve essere sepolto fino alla vita, con le braccia fuori e se riesce a liberarsi e scappare durante la lapidazione, può ritenersi libero. Mentre una donna deve essere sepolta fino alle spalle, braccia comprese. Situazione da cui è quasi impossibile liberarsi. Anche se esistono testimonianze che una volta (1994) nella cittadina di Arak una donna sia riuscita a scappare dalla fossa dove era stata calata. Però non l’hanno lasciata libera. E nonostante la testa spaccata e un occhio caduto sulla guancia, l’hanno legata a un palo e fucilata. Di un’altra donna, Zoleykhah Kadkhoda, si sa che, lapidata nel 1997 e dichiarata morta, si risvegliò all’obitorio, fu portata all’ospedale e le sue condizioni migliorarono. Ci furono discussioni fra i guardiani della fede per decidere quando e come ricacciarla nella fossa e finire la lapidazione. Ma qualcuno insinuò che poteva trattarsi di un segno divino e, anche grazie alla mobilitazione internazionale, la donna fu graziata. Voglio ricordare la scrittrice e avvocata iraniana Mehrangiz Kar che ha subito quattro anni di carcere tornando in Iran da una conferenza fatta a Berlino, dove aveva detto: «Se in una nazione metà della popolazione è soggetta a violenza economica, fisica, emotiva e personale dalle leggi del Paese, e i diritti umani delle donne non sono una questione nazionale, allora cos’è una questione nazionale?».
Prego i lettori di firmare per la vita di Sakineh presso: www.amnesty.it/flex/FixedPages/IT/appelliForm.php/L/IT/ca/216