«Ma quale amore!?» ha protestato Valeria Palumbo contro le cronache dei maggiori quotidiani a proposito della scia di assassinii di donne di queste settimane. «Ma come vi permettete di fare in questo modo un lancio di agenzia su un triplice tentativo di stupro?» si è indignata contro l’Ansa una parte della redazione di City. In entrambi i casi i destinatari della protesta (potete leggerlo sul nostro blog) hanno cambiato rotta. Da registrare anche l’intervento su Sky del direttore dell’Europeo Daniele Protti, che si è unito al coro indignato di giornaliste e lettrici. Dunque, far sentire la propria voce serve. Eccome. Il Corriere della Sera, ad esempio, si è affrettato a pubblicare il commento dello psichiatra Vittorino Andreoli che vi riproponiamo.
Lo psichiatra – Per Vittorino Andreoli diventa killer chi perde la persona da cui dipende in modo morboso
Se tornano gli uomini primitivi
Le donne come oggetto e il richiamo della foresta che vince sulla razionalità. Il richiamo delle pulsioni si sta dimostrando di tale forza da riportare, in qualche caso, l’uomo alla primitività.
di Vittorino Andreoli
I delitti per abbandono sentimentale costituiscono un genere, sostenuto ormai dalla frequenza con cui giungono alla cronaca, ma soprattutto dalla dinamica con cui vengono consumati. Il killer è un uomo che viene lasciato da una donna: non sopportando di perdere l’oggetto dell’attaccamento, la uccide e talvolta in seguito si suicida. Esistono almeno altrettanti casi di uomini che lasciano la loro donna ma è raro che costei, per simmetria, segua lo stesso comportamento. Dunque è un delitto proprio del genere maschile. Abbiamo parlato di attaccamento e non di amore e la distinzione è sostanziale: l’amore tiene sempre conto dell’altro e giunge a fare persino ciò che gratifica l’oggetto amato, mentre l’attaccamento esprime un legame totalmente egocentrato e si costituisce per dare soluzione (consapevole o inconsapevole) ad un bisogno esistenziale importante, una questione di vita e di morte e lo dimostra il fatto che se si perde «l’appiglio» si uccide e ci si uccide. L’attaccamento è il termine che in psicologia viene usato per la relazione madre-bambino in cui è addirittura impossibile considerare i due termini staccati: una chiave non ha senso se non in riferimento ad una serratura in cui entra perfettamente. Ebbene questi killer sono per lo più insicuri, immaturi, incapaci di autonomia e non amano l’oggetto a cui si attaccano ma semplicemente stabiliscono un rapporto gregario come fa un muschio nei confronti della pianta da cui trae la linfa. E l’immaturità è sempre più diffusa e non solo negli adolescenti, ma anche tra persone che anagraficamente sono adulte e possono vivere solo se piantate su qualcuno che le accudisce e che si occupa di loro. Il problema della crescita non va riferito solo alla dimensione somatica e nemmeno alla razionalità: due parametri che di solito sono ben sviluppati, ma riguarda anche i sentimenti che sovente rimangono al livello infantile. E che si tratti di un processo abbandonico in questa categoria di omicidi è sottolineato dal suicidio che sovente segue, come a dire che non si tratta di giustiziare una colpa, ma di prendere consapevolezza della impossibilità, senza quel legame, di poter vivere. Da ciò deriva anche che non hanno nulla a che fare con i delitti per gelosia poiché in questo caso si uccide il nemico che ha rubato il proprio oggetto d’amore e/o si punisce la donna che comunque si è lasciata portare via. Anche in questo caso tra le vittime domina la donna. Per dare maggior senso a questa dinamica occorre aggiungere che l’uccidere nella nostra cultura è diventato un fatto banale, soprattutto per le nuove generazioni che cominciamo con il primo videogioco ad ammazzare per divertimento e l’abilità sta proprio nel numero di morti, sia pure di sagome umane, che vengono fatti in un dato tempo. Ammazzare è banale quando la vita non ha un senso o comunque non ci si è nemmeno mai posto quale possa essere. Uccidere si riduce a un gesto come quello di premere il tasto di un pianoforte: si sente un suono e poi cessa e lo si dimentica. E ormai diminuisce anche il senso tra uccidere un altro o se stessi proprio perché il riferimento, la morte, è debole e non ha più nulla del mistero o del dramma della condizione umana. Ma c’è un’altra questione che questi casi sollevano e riguarda il rapporto tra biologia e cultura. Un tema antico che ora ritorna con grande forza. Ha dominato negli ultimi decenni l’idea che la cultura, che dipende dalla società in cui si vive, è in grado di neutralizzare le pulsioni, gli istinti, che invece si legano alla carne e alla specie animale e che tendono a operare automaticamente. Si esprimono se non sono contenuti dai freni inibitori della cultura, da cui dipendono le capacità di autocontrollo dei singoli. E ci si era convinti che la civilizzazione si legasse proprio al dominio della natura: dalla natura alla cultura, questo era lo slogan. Ebbene stiamo constatando che il richiamo della foresta, delle pulsioni, forse per la perdita della razionalità e del controllo dei sentimenti (il buonsenso, la saggezza) si sta dimostrando di tale forza da riportare alla primitività. Nella biologia umana il ruolo del maschio è diviso nettamente da quello della donna, l’uomo è il dominatore nel senso bruto del termine. Il maschio è il dominus anche per il diritto romano e per un livello di civiltà evoluto. Le relazione sono state per millenni all’insegna della donna come fedele serva dei suoi bisogni e in primis di quelli della sessualità. La donna sta ritornando a essere un oggetto di godimento, e ad assumere il ruolo di madre che protegge e coccola questi maschi potenti ma fragili, grandi ma bambini. E le grida del femminismo si sentono lontane come una eco che sa più di mitologia che di storia. Questi omicidi rimandano dunque alla cultura e non come forse si pensa o si vorrebbe soltanto agli psichiatri che servendosi della patologia della mente spiegano i casi estremi destreggiandosi tra una normalità indefinibile e una follia scomparsa. In questo specifica tipologia omicida non basta la psichiatria ma occorre persino fare riferimento ai principi sulla cui base soltanto si può controllare la nostra rabbia e quel tanto di animale violento che conteniamo. E non è piccola cosa.
Corriere della Sera – 13 luglio 2010
Io credo che grazie al femminismo le donne si sentano più libere di decidere della loro vita e dei loro sentimenti… Lasciano e non sono solo lasciate…Questo atteggiamento non
è accettato dal maschio che non è evoluto non solo sul piano “culturale” ma ahimè ancora poco sul piano emozionale …
Voi che dite?
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Cara Angela, non ti preoccupare.
Il femminismo è servito alle donne per crearsi una coscienza e per avere studiato abbastanza per scrivere quanto segue.
L’eco del femmnismo non si sente perché come vedi è un uomo, che ne sa anche poco di storia, storia della filosofia, sociologia e di un altro fracco di scienze, nonchè degli stessi suoi compari, a prendere parola, a essere pubblicato e perfino sembra a suscitare benevoli sentimenti nelle donne di questo blog.
Come hai potuto leggere è la natura del maschio a essere bestiale, e si è creato apposta una civiltà per contenere la sua tendenza sanguinaria (cosa c’entrano poi gli animali che non fanno guerre, rarissimamente stuprano e non mettono a repentaglio l’ecosistema mah!). La civiltà gli ha insegnato per millenni a sfruttare la natura e a sottomettere la donna , lo ha reso inafettivo (ma non so se si dice così in aulico , io uso un altro termine) – ma lo era sanguinario? lo è diventato? la questione è dovuta alla sua stupidità per cui usa una tecnologia troppo veloce per il suo cervello lento?
Purtroppo sono domande destinate a rimanere senza risposta: è molto difficile che i maschi della specie facciano autocoscienza, sanno poco di noi e se la raccontano su di loro. Stavolta non li aiuteremo perché sono anni che il femminismo non indaga più se ci sono (natura) o ci fanno (cultura).
Lo spauracchio dell’uomo primitivo, usato per giustificare il primo colonialismo (vado a portare la civiltà a questa orda selvaggia, ma già che sono li schiavizzo, sfrutto, uccido, stupro e anniento perché grazie a dio –che c’entra anche lui- sono ancora animali sanguinari) mi ha fatto quasi tenerezza. Direi che è un atteggiamento infantile raccontare palle sui primitivi di cui si sa ben poco per giustificare, ma vuole poi farlo?!? arimah!, la linea retta che da lì parte per andare dritta a un glorioso futuro che poi qualcuno scopre che c’è poca gloria e molto femminicidio (beh scopre è una parloa grossa, ipotizza per un articolo tirato via)
L’eco forse non la sentono perché non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.
Poco importa, noi donne si va verso il matriarcato prossimo futuro: sembra che abbia una sola controindicazione: staranno meglio anche gli uomini. Poco male, piuttosto che facciano tutti questi danni!
Ciao
Luisa
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a proposito di uomi che odiano le donne , loro le donne non le amano, ma le odiano, la storia ce lo conferma, e adeso nell’era della tecnologia, si fa cosi’, .
vado l’ammazzo e poi vado agiocare a calcio con gli amici. la giustiza italiana poi, aiuta , questi omicidi, gli si procura il miglior penalista, gli si danno gli arresti domiciliari e nel giro di un mese il killer e’ gia’ fuori, pronto a farne fuori un’altra, che non gli va’ tanto a genio.
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