Isabella Ferrari: “Voglio fare la rivoluzione”

isabella-ferrari-06-12L’attrice: “Siamo il paese meno credibile del mondo. È il momento di reagire, basta con i sofismi e le vigliaccherie: l’arte non può servire il potere”.

di Malcom Pagani – da il Fatto Quotidiano del 28 maggio ’10

Gli occhiali non sono uno schermo. Proteggersi è vano. “Guarda, Isabella Ferrari”. Lei cammina a braccia conserte, saluta. La mano è un ventaglio. Il passato, uno scrigno da aprire con prudenza: “Raccontare è difficile, descriversi faticoso. Forse inutile”. Roma, pomeriggio inoltrato. Scirocco, caldo africano, ambulanze, caos. Solide facciate pastello di palazzi apparentemente immutabili. “Cambia tutto invece, noi per primi”. Se lo inventi, ogni giorno è perfetto. Con tre figli, la fantasia cede il passo alla vita. “Sono una creatura particolare, faccio molte cose insieme, minimo quattro, quando va bene”. Jeans, camicia verde, ingannevole timidezza che si confonde con la determinazione. È pudore, diffidenza, semplicità. Quarantasei anni. Una luce. “Mi dicono, ma non nascondi mai la tua età? Già faccio fatica a occultare la mia ignoranza, se devo anche celare l’anagrafe, rischio di perdere di vista le cose importanti”. Naturalmente, non è vero neanche questo. Ferrari legge i romanzi russi, condivide idealmente gli incerti destini degli eroi tolstojani, conversa :“parlo troppo velocemente?”. Da anni vorrebbe portare Anna Karenina in scena.

Progetto aleatorio come l’esistenza che si è scelta. Intanto, con Valerio Binasco ed Ennio Fantastichini, ragiona su un testo di Jean-Claude Carrière. Origini, reminescenze, teatro. Trent’anni di palcoscenico e camerini. Nomadismo che cerca àncore per le tempeste in arrivo. “Ho una vita molto piena, affollata di amici, nonostante non abbia ancora le chiavi di questa città e mi senta straniera persino nel quartiere in cui abito. Non ho bar di riferimento, edicole, centri di gravità permanente, ma prima che me lo chieda, anticipo la sua curiosità: non mi sento affatto vecchia. L’esperienza mi ha salvata, insegnandomi come sia più facile assorbire l’insuccesso del successo”. Marco Tullio Giordana, Amelio, Battiato, Scola, Ozpetek, De Maria. Poi la televisione, la realtà. Perchè “non è più il momento di tacere. Non adesso, si rischia la complicità”. Isabella alterna un italiano non banale a inglesismi mutuati dal percorso itinerante affrontato a vento in faccia fin dall’adolescenza. more or less, big family e poi, improvvisa, tra una vocale aspirata, una pausa, un trattenuto sorriso, la parola rispetto. “Manca a ogni livello, reagire è necessario”.

In Italia è difficile produrre cultura.

Penso che Bondi dovrebbe capire che l’arte non può essere amica del potere. Anche quando ferisce, fa bene.

La concezione proprietaria impedisce generosità.

Parliamo sempre di Bondi ma anche da chi c’era prima di lui, ho raramente avvertito protezione o stimoli. Senza lampi, saremmo soltanto dei guitti. Chi regala sogni, meriterebbe di più.

Problema atavico.

C’è un’incomprensione antica e riguarda la libertà di pensiero. Gli attori servono, l’avevano capito già i greci.

Quindi?

Il nostro cinema è in un buon momento nonostante i tagli al Fus e l’insopportabile, diffusa sensazione che per chi ci governa, la cultura rappresenti un peso.

Un fastidio.

Produce utili, per uniformarsi all’orrendo idioma dei mercanti. Non si riduce a una pagina di cultura da sventolare all’estero.

E, come dimostra Elio Germano, si fa sentire.

Abbiamo la distinta percezione del baratro. Scrittori, registi, attori. Siamo uniti e non è detto che nel buio non si riveli la luce.

Non sarebbe una novità.

È il momento di creare, rialzarsi, dire la propria. Meglio tutti insieme. Noi siamo il nostro copyright.

Ha visto cosa succede all’Imaie? Il governo ha messo le mani in un istituto previdenziale privato.

Allucinante. In Francia, dove la sola ipotesi è lunare, lo Stato rimane lontano e gli artisti ricevono i loro introiti regolarmente.

Qui?

Sono spariti 120 milioni di euro. Molti di noi non hanno ricevuto nulla e quando domandano lumi, vengono tacitati. È normale?

Lei è pessimista?

No. Osservo le macerie della volgarità e per la prima volta nella mia vita, il mio umore ne risente.

Cosa fare?

Piangersi addosso è demenziale e intristirsi perché le cose non funzionano nel nostro settore, limitante.

C’è altro.

È troppo violenta l’immagine di chi si suicida, degli operai che non trovano più lavoro, delle scuole che non funzionano, dei 35enni che vivono ancora con la famiglia.

Drammatico.

In questo momento mi sento come un rubinetto che non si chiude. Di stare zitta non ho voglia.

Siamo al Neorealismo senza maestri.

Mi ricordo una remota cena con Ken Follett. Ascoltava i miei racconti. Spalancava gli occhi: “Ma qui c’è un romanzo al giorno”. Dispiace, ma siamo il paese meno credibile del mondo.

Quando lo sostiene un attore, però, la reazione è violenta.

Prenda Germano a Cannes, Con la Palma d’oro in mano, si è espresso chiaramente.

A suo marito, Renato De Maria, è stato quasi impedito di raccontare una pagina di storia.

Il film si chiamava “La prima linea”. E ha ricevuto una censura preventiva da destra e sinistra che mi ha lasciata sgomenta. Il novecento è finito e, temo, anche il senso di categorie come destra e sinistra.

Ha visto Draquila?

Certo e anche mia figlia. Era sconvolta. Non ho paura che i miei figli leggano Gomorra. Lo pretendo. Non temo la verità.

Cultura in senso ampio.

Passa attraverso il cinema. La televisione, anche nelle sue espressioni migliori, rimane distante.

Ma la tv le ha offerto una popolarità mostruosa.

Non rinnego niente. La vedo, anche in compagnia. Il frigo è pieno, la casa un porto, gli amici lo sanno. Officio il rito consolatorio di Annozero, lo riconosco come affine, ma non ce la faccio più a incontrare sempre le stesse facce di politici.

Stima qualcuno?

Non lo so. I nuovi, ammesso che ci siano, non me li hanno mai presentati. La parata, concorderà, è sempre la solita.

Ricorda Noemi Letizia? Vuole fare televisione.

Ero schifata da genitori che possono pensare di vendere i propri figli. È successo, può accadere, avverrà ancora. Bisogna aprire gli occhi, anche se brucia le palpebre.

Aspettative?

Che i giovani si ribellino e non accettino il vuoto spinto dei tempi.

E poi?

Spero nella rivoluzione.

Forte.

Come madre e come cittadina, vorrei urlare. Di vigliaccheria, sofismi, prudenze, abbiamo fatto il pieno. Vorrei un universo di coraggiosi, sinceri, curiosi. Che si inseguissero passioni, pulsioni, ossessioni. Ha idea di quanto aiutino?

Quella di Berlusconi ci tormenta da 15 anni.

Sono d’accordo con Marco Bellocchio. Non è fronteggiandolo violentemente che lo si batte.

Ricorda Hotel Paura?

Anticipava i tempi, come altri film a cui senza calcoli, mi è capitato di partecipare. Raccontava la storia di un gruppo familiare che dall’agiatezza assoluta, sprofonda in mezzo alla strada. Oggi, da baratri simili, siamo circondati.

Cosa la turba?

Sento un’angoscia nel petto per i precari. Mi sono straziata per quella donna che a Napoli si è suicidata. L’ha annunciato e nessuno ha mosso un dito.

Neanche la politica.

Al suo funerale, l’assenza della casta assordava. Non che abbia voglia di vedere volti contriti in faccia alla tragedia, ma è sintomatico del menefreghismo del ceto.

La sua famiglia?

Nel piacentino, essere pragmatici era un dovere. I miei guadagnavano con l’agricoltura, ma complessivamente erano poverissimi. Ho cominciato a lavorare troppo giovane e, ancor oggi, mi sostengo con il mio mestiere. Un telefono, uno squillo, una convocazione. Certezza nell’avvenire non c’è.

Si sente fortunata?

Molto. Sono un’attrice ho tentato di esplorare mondi femminili diversi tra loro, provando a tirar fuori un’anima dai miei personaggi. Rendendoli veri. Amore, rabbia, gioco, ironia. Io vivo per questo.

Iniziò a 17 anni.

Con un film di cui non mi vergogno, Sapore di Mare dei fratelli Vanzina. Un ritratto fedele dell’estate e delle sue convergenti incongruenze. Il mio unico cult.

Studiò per essere lì?

Con me, l’autodidattismo va in paradiso. La mia scuola? I registi che ho incontrato. Marco Tullio Giordana mi spiegò come un attore debba aderire fedelmente all’idea di un autore. Non l’ho scordato.

Con Scola arrivò la Coppa Volpi a Venezia.

Ettore? Un patto costante con l’intelligenza. “Porta in scena quello che conosci” mi diceva.

Per lei piovevano ruoli difficili. Le altre fuggivano.

Ho messo sul tavolo le mie emozioni, il mio corpo, me stessa. Quando nascondo qualcosa, è una scelta consapevole. Mi interessano i non detti, i vuoti, le vibrazioni.

E la magia del set.

Quando sono davanti alla cinepresa, avviene sempre qualcosa. Credo ancora nel miracolo degli incontri. Nelle storie, nei registi.

Una missione.

La mia. Ho sempre vissuto la mia fama con grande naturalezza, ai tempi di Distretto di Polizia, per i miei figli, era difficile camminare persino nel loro quartiere, ma li ho tranquillizzati. Non sono una di quelle persone che si veste da sera per portarli a scuola. Faccio tutto, io. (Lo ripete tre volte. Un esorcismo, un’invocazione, l’inconscio che emerge).

E l’immagine, la bellezza?

Non mi ha mai imprigionata. Non mi diverte. Io non mi guardo. Mi interessa di più cambiare, danzare, ribaltare tutto.

La turba l’invidia?

Proprio perché la conosco, non mi sfiora. Se ho una qualità è l’umiltà. Sarà forse la mia anima contadina?

Come andò con Amelio?

(Ride). Una sera incontro Gianni per caso. Arruffato, di corsa. Baci, abbracci, convenevoli. “Corro a vedere Distretto di Polizia”. Non volevo crederci, mi diede la cifra di cosa provocava la tv.

Una svolta.

Facevo piccoli film in Francia, dove ho lavorato e vissuto a lungo. Mi proposero la serialità televisiva.

Sacrilegio.

I miei colleghi mi ammonivano “Non lo devi fare, Amelio non ti chiamerà più”. Poi ho scoperto spettatori inattesi.

Chi?

Umberto Eco. La tv è stato il mio laboratorio. Ho incontrato centinaia di attori bravi, professionisti, geni incompresi.

In “Amatemi”, recitava un apologo scritto su misura: “Non voglio restare sola perché non puoi perderti nemmeno una volta. Se ti perdi, nessuno verrà a cercarti”.

In quel film c’è la mia pelle. Parla di rinascita, di riscossa. Mi somiglia.

Il rapporto con il denaro?

Quando ho avuto la possibilità di arricchirmi, non so perché, sono sempre fuggita. Se c’è da sperimentare, annusare, prendere colpi sul volto, rimanere in rosso, mi butto. Strano, no?
E quando deve partire?
Faccio le valigie e poi vado con grande leggerezza senza guardarmi alle spalle. Piango a metà delle scale, ma già sulla porta soffia un vento di libertà, la mia indole.

Quando non lavora?
Volo a Pantelleria. Ogni anno, per regalarsi l’allegra malinconia dell’estate. Mi piace la malinconia, è un sentimento vero.

E parlare l’affatica?
Ho preso un anno di pausa, troppe interviste superflue. Mi sono dispersa, oggi del contorno non me ne fotte più niente.

E Pantelleria?
È la mia Arca. Figli, cani, gatti e tartarughe. Quando ci vedono in aeroporto, si spaventano. Però sono cose un po’ private. Quando le leggo mi infastidisco. È certo che interessino qualcuno?

AGGIORNATO IL 3 OTTOBRE 2015

2 thoughts on “Isabella Ferrari: “Voglio fare la rivoluzione”

  1. Complimenti Isabella, finalmente un impeto d’orgoglio italiano, di legalità, di principi sacrosanti e sopratutto da una persona che ha sempre lavorato per Mediaset e fa capire che la dignità della persona va e resta al di sopra ”di parti di lavoro da avere” facendosi chiudere la bocca. Avendo tre figli e con la sensibilità che sempre l’ha accompagnata, educa e ci da modo di ribellarci!!!! Complimenti Isabella sempre con te!!!!! Spero che i tuoi colleghi e tutti gli italiani finalmente si rendano conto del dove ci troviamo e dove stiamo andando o lo siamo già. Grazie Grazie

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  2. Isabella sei grande e tanto, tanto sexy. Ieri sera ti ho vista da Crozza Alive e sentir parlare di rivoluzione mi ha incuriosito.
    Insegno Inglese a teen-agers e young adults. Conosco le loro ansie, paure per il futuro. Questo stato che non investe in cultura, education e research è uno stato che non crede nei giovani e che non ha futuro, uno stato vecchio. Ai miei ragazzi dico di andarsene all’estero oppure di fare ciò che suggerisci tu: una bella rivoluzione culturale e… forse non solo.
    Lo dico da tantissimo tempo.
    Grazie di esistere Isabella. Se avessi una donna come te al mio fianco sarei non contento ma assolutamente felice e realizzato. Sto cercando un tuo clone.
    Gio

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