Le notizie fanno bene, a tutti

di Fiorenza Sarzanini
Corriere della Sera
– 22 maggio 2010

Tra cinque giorni comincerà il processo alle maestre di Rignano Flaminio accusate di reati legati alla pedofilia. Se la legge sulle intercettazioni fosse già in vigore, soltanto adesso potremmo conoscere per quale motivo tre insegnanti, il marito di una di loro e una bidella vanno alla sbarra con il terribile sospetto di aver abusato di piccoli alunni.

Soltanto tre anni dopo il loro arresto potremmo raccontare la storia di questa indagine. Mettere a fronte le tesi dell’accusa e quelle della difesa dopo aver esaminato gli atti. Eppure tra questi documenti non c’è neanche uno straccio di intercettazione telefonica o ambientale, perché mai ne sono state disposte. Il processo di Rignano è soltanto uno dei centinaia di casi dei quali non si sarebbe saputo nulla — a parte la notizia degli arresti — se il provvedimento che porta il nome del ministro della Giustizia Angelino Alfano fosse stato approvato.

E dimostra come il divieto di pubblicare le intercettazioni sia in realtà un falso problema. Perché è vero che con queste norme si vieta ai giornalisti di informare, ma soprattutto si impedisce ai cittadini di essere informati. E si lede il diritto fondamentale degli indagati di difendersi anche davanti all’opinione pubblica. S’è detto più volte che la pubblicazione dei testi di telefonate, talvolta tra persone che nulla avevano a che fare con le inchieste, è stata eccessiva. La privacy è un bene che va certamente tutelato e dunque è sul bilanciamento di queste due esigenze che bisognerebbe lavorare per trovare un’intesa.

Per esempio limitando la possibilità di allegare alle ordinanze soltanto le trascrizioni che riguardano gli indagati e sono ritenute indispensabili per motivare un arresto o una misura di interdizione. E creando un registro segreto delle altre conversazioni, sempre tenendo conto che proprio la difesa potrebbe decidere di utilizzarle per dimostrare l’infondatezza delle accuse. Nelle ultime settimane si è discusso molto delle inchieste sulla corruzione e si è insistito su tutto quello che l’opinione pubblica avrebbe ignorato se ci fosse già la legge. Ma, come dimostra Rignano, non si tratta soltanto di questo. Perché con il via libera alle nuove norme non si parlerebbe più dei politici e dei funzionari, però non si potrebbero neanche raccontare le indagini per gli omicidi, per le violenze sessuali, per le rapine. E si vivrebbe tutti lontani dalla realtà, di fatto fuori dal mondo.

C’è un aspetto che in queste ore viene sottovalutato e riguarda il possibile utilizzo illecito degli atti processuali. Il divieto di pubblicazione non impedisce infatti la circolazione dei documenti e dunque l’eventualità che diventino merce preziosa per chi potrebbe usarli come strumento di ricatto. Molto altro si potrebbe argomentare su questo disegno di legge, ma forse basta questo per riflettere sull’opportunità di tornare a confrontarsi, rallentando una corsa che appare in questo momento senza freni. E rischia di causare disastri.

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