Una lettera pubblicata qualche giorno fa sul Corriere della Sera e firmata da Filippo Caruso. “Morgan e Memi” è il titolo, “Festival di Sanremo” l’occhiello. Noi l’avremmo titolata “Donne della realtà” perché è a storie ignorate come questa che vorremmo dare visibilità, mentre le pagine dei giornali si riempiono (spesso) di sensazionalismo basato sul niente. Tempeste di effimero dentro le quali annegano il vero, il quotidiano, il complesso.
Si chiama Medine Memi, ed è stata sotterrata viva dai propri parenti per lavar l’onore della famiglia. Sepolta viva perché sospettavano che a 16 anni frequentasse degli uomini.
Questo è stato l’atroce destino di Medine Memi il cui corpo è stato ritrovato in posizione seduta in una fossa profonda due metri, aveva i polsi legati ed era cosciente, lo conferma la presenza di terra nei polmoni e nello stomaco. La terra negli occhi, nel naso, nella bocca, nei polmoni e infine il cuore in gola, e lo spirito che in un ultimo e inutile tentativo di sopravvivenza cerca ancora di capire perché meritare tanto odio da chi avrebbe dovuto darle solo amore.
Eppure si parla soltanto di Morgan, delle sue crisi depressive, dell’utilizzo della droga e della sua potenziale partecipazione al festival di Sanremo. In quello stesso Sanremo dove avrei preferito sentire la voce di Memi viva.
dal Corriere della Sera del 5 febbraio 2010
Delitto d’ onore nel sud est abitato dai curdi
Turchia, sedicenne sepolta viva
Arrestati il padre e il nonno
La ragazza è morta seduta con i polsi legati, tracce di terra sotto le unghie e nei polmoni
di Monica Ricci Sargentini
L’hanno calata viva dentro una buca scavata alla buona, talmente piccola che la ragazza ha dovuto entrarci seduta, poi, con una pala, hanno ricoperto tutto incuranti della terra che riempiva i polmoni di Medine Memi, 16 anni, rea di aver frequentato dei coetanei di sesso maschile. Un peccato grave nel sud est della Turchia, l’ area abitata dai curdi profondamente influenzata dall’ Islam più conservatore.
Medine abitava a Kahta, 68mila abitanti, in provincia di Adiyaman, dove nascere femmina vuol dire sottostare a regole durissime: camminare senza dare nell’ occhio, non sorpassare mai un uomo per non dargli la possibilità di essere guardate, coprirsi il più possibile, magari con un abito sull’ altro, e soprattutto essere invisibile per non suscitare il desiderio altrui.
Medine era una ribelle. La sua famiglia non era contenta di lei. La accusavano di avere degli amici maschi. E per questo l’ avevano già picchiata. All’ inizio dello scorso novembre la ragazza si era presentata al commissariato di polizia per denunciare le percosse subite dal nonno. Un atto di coraggio che non è bastato a salvarle la vita. Quindici giorni dopo la giovane è scomparsa. Ai vicini di casa i genitori, che hanno altri otto figli, avevano raccontato che era fuggita. E stavano per farla franca se, a fine dicembre, alla polizia non fosse arrivata una telefonata anonima che segnalava la presenza del cadavere sotto il pollaio della casa.
«La sentenza di morte – aveva detto l’ informatore – è stata stabilita dal consiglio di famiglia», cioè dai membri anziani, ovviamente maschi, del clan. I poliziotti hanno scavato e hanno trovato Medine rannicchiata nella sua tomba, i polsi legati per impedire una qualsiasi via di fuga. Una morte tremenda la sua. Ieri i risultati dell’ autopsia hanno dimostrato che la ragazza «era viva e del tutto cosciente quando è stata seppellita».
Agli arresti ieri sono finiti il padre Ayhan e il nonno Memi. I due ora rischiano l’ ergastolo. Ma l’ inasprimento delle pene, deciso da Ankara nel 2005, non ha ancora fermato la piaga dei delitti d’ onore. In Turchia una ragazza a settimana, dicono i dati, muore o si toglie la vita per volere della famiglia.

Il padre di Memi al momento dell'arresto.