Quanto contano le donne per la RAI?

Una nostra analisi sul Contratto di servizio a cura di Daniela Stigliano.

Due incisi. Da cercare con molta cura all’interno di altrettante, lunghe frasi. È quello che valgono le donne per la Rai, a leggere il Contratto di servizio 2007-2009, datato 5 aprile 2007 e scaduto ufficialmente il 31 dicembre scorso (in allegato in fondo all’intervento). Quello di cui si discute da mesi in molte sue questioni e aspetti. Solo da fine novembre, però, i riflettori sono stati accesi in maniera specifica anche sull’immagine femminile, sul modello di donna che viene offerto agli spettatori di tv e radio del servizio pubblico, sulla totale o quasi assenza di attenzione e di riferimenti per temi come le pari opportunità o la violenza sulle donne.
Due incisi in 27 pagine e 43 articoli, dunque. Frutto – vale la pena di sottolinearlo – di richieste, trattative e battaglie antiche, soprattutto delle giornaliste e delle dipendenti in generale della Rai. Come dire: prima non c’era neppure questo.
Il primo riferimento appare quasi subito, nell’articolo 2 ,“Oggetto del contratto nazionale di servizio”, seppur sapientemente miscelato nel testo. Nella definizione dell’offerta che la Rai deve proporre ai cittadini, infatti, tra i 15 compiti prioritari, al dodicesimo posto arrivano anche “i temi dei diritti civili, della solidarietà, della condizione femminile e delle pari opportunità, dell’integrazione”. Insomma, si parla sì di donne, ma non solo di loro.
Il compito numero 13, invece, parla tra l’altro della “denuncia dei fenomeni di violenza”, ma senza neppure accennare a quella specifica sulle donne. Che pure è un fenomeno noto da sempre e in continua crescita. E i temi femminili non compaiono neppure scorrendo ancora l’articolo 2, al punto 5, che indica le cinque tipologie di programmazione da diffondere in modo equilibrato: al capitolo “comunicazione sociale” si citano bisogni della collettività, fasce deboli, ambiente, sport sociale, disabili, anziani e altre tematiche sicuramente importanti e meritevoli di attenzione.
Ma le donne, no.
Il secondo inciso, quello più corposo e mirato, arriva all’articolo 4, “L’offerta televisiva”, che snocciola i generi a cui “la Rai riserva un’ampia percentuale della programmazione annuale delle reti generaliste terrestri”. E tra le trasmissioni tv del terzo genere, “Lavoro, comunicazione sociale, pubblica utilità”, si ritrovano anche quelle “finalizzate a comunicare e a valorizzare una più moderna rappresentazione delle donne, con particolare attenzione alla sua crescita sociale, ai suoi diritti costituzionali e al suo ruolo nella società civile, nelle istituzioni e nel mondo del lavoro”.
Letto così, sembrerebbe persino sufficiente all’obiettivo di portare sugli schermi del servizio pubblico anche le “donne vere”, quelle della realtà. Quasi quasi, verrebbe da “perdonare” l’assenza assoluta di qualsiasi altra declinazione al femminile dei compiti del servizio pubblico in tutto il resto del Contratto di Servizio. In effetti, come purtroppo l’analisi dell’offerta televisiva Rai dimostra, questa “più moderna rappresentazione delle donne” non è così palese ed evidente. Anzi. Senza considerare che la stessa indicazione non viene ripetuta nell’articolo 5, “L’offerta radiofonica”. Una semplice e banale distrazione dell’estensore del testo oppure l’idea che le parole siano meno importanti a dare una rappresentazione corretta del mondo femminile?
Il nodo della questione è un altro. Senza norme, capitoli, articoli, codici di autoregolamentazione e comitati di vigilanza sull’applicazione delle regole, le indicazioni del Contratto di Servizio della Rai sembrano essere più raccomandazioni o suggerimenti amichevoli che altro. Quando si prescrive, per esempio, che ai diversi generi di trasmissione elencati deve essere destinato “non meno del 65 per cento della programmazione annuale delle tre reti generaliste”, come e chi stabilisce l’equilibrio e il peso tra le varie trasmissioni elencate? E che cosa succede se, per esempio, allo sport – dal calcio alle Olimpiadi, passando per gli sport dilettantistici e minori, come indicato espressamente – viene destinata una quota di quel 65 per cento di gran lunga superiore rispetto alla “più moderna rappresentazione delle donne”?
C’è una sola strada per rendere efficaci le prescrizioni sulle trasmissioni Rai (e pure in questo caso, a volte bisogna battagliare…). Ed è trovare spazio tra i cosiddetti “profili specifici” dell’offerta radiotelevisiva. Come i programmi per i minori, che devono attenersi alle norme del Codice di autoregolamentazione e subiscono la vigilanza del Comitato di applicazione di tale Codice. Come le trasmissioni dedicate ai disabili. Come la programmazione per l’estero, i prodotti audiovisivi italiani ed europei, la valorizzazione delle istituzioni e delle culture locali, la rete parlamentare, i servizi di pubblica utilità, e pure le audiovideoteche.
Ma le donne, ancora no.
Daniela Stigliano

Allegato “Rai contratto servizio 5 aprile 2007

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...