Token show

di Chiara Volpato

Annozero, giovedì 7 gennaio 2010.  In studio, intorno a Santoro cinque uomini (Castelli, Mentana, Travaglio, Vauro, Vendola) e una donna (Alba Parietti). Una perfetta situazione di tokenism. Quando due gruppi sono fortemente asimmetrici nei rapporti di potere, scegliere un rappresentante del gruppo debole e farlo sedere tra gli eletti serve a mostrare apertura mentale, paternalistica disponibilità verso l’altro, ma soprattutto serve a lasciare inalterato lo status quo. Il prescelto diventa un token, illusorio simbolo di una possibile ascesa sociale, mero specchietto per le allodole. Il token/alibi ha una funzione precisa: salvaguardare lo stato di cose esistenti togliendo forza alle voci di protesta: non è vero che nei talk show le donne non hanno voce, sono rappresentate da Alba Parietti.

Come questa rappresentante sia scelta, quanto spazio le si dia, quali capacità abbia di interloquire con i signori esperti, poco importa. L’importante è che ci sia e che non si possa criticare quindi l’assenza di una voce femminile.

La situazione verificatasi giovedì scorso ad Annozero è solo l’ultima di una lunga serie. Da sempre i salotti dell’intrattenimento e della politica brillano per misoginia e sessismo.

Le vette, irraggiungibili, di Porta a Porta pongono tale programma fuori classifica. La concezione della donna che traspare dalla scelta dei temi, dal linguaggio usato, dalle inquadrature delle gentili ospiti hanno da tempo lasciato noi, donne della realtà, senza fiato. L’unica scelta possibile è stata smettere di guardare il talk show; ne ha guadagnato la qualità delle nostre vite. Ingenuamente speravamo che altri programmi mostrassero maggiore sensibilità e attenzione. E’ così che siamo incappate in una serie di delusioni, culminata, giovedì scorso, nel token Parietti.

Abbiamo allora pensato che qualcosa bisogna pur dire, a costo di ripetere cose che suonano scontate, ma che evidentemente non sono state assimilate dai signori dell’etere.

Come accennato, Annozero non è stata l’unica delusione. Ricordiamo una trasmissione de l’Infedele, in maggio, quando stava scoppiando il caso delle veline candidate. Lerner, a cui va riconosciuta una maggiore attenzione per le presenze femminili, aveva in quell’occasione invitato alcune donne: Ventura, la politologa di Farefuturo, che per prima aveva denunciato la scorrettezza delle candidature, Zanardo, autrice de Il corpo delle donne, potente denuncia dell’oggettivazione del corpo femminile da parte dei media, e due donne di spettacolo (anche se una ormai a pieno titolo transitata in politica): Carlucci e Parietti (sempre lei!). Di quella trasmissione, ricordiamo soprattutto la diversa distribuzione dei tempi degli interventi; ricordiamo di aver aspettato a lungo un intervento di chi aveva qualcosa da dire (Ventura e Zanardo), mentre la gran parte dello spazio veniva occupato dalle due replicanti, una in quota alla destra, una in quota alla sinistra, (Carlucci e Parietti), che riuscivano nell’impresa di litigare in diretta, con le tipiche modalità della politica maschile. Lo facevano però a labbra rifatte, dando modo alle telecamere di indulgere a lungo sul particolare.

Già che ci siamo e che abbiamo deciso di farci dei nemici, accenniamo, en passant, a Che tempo che fa. Ci proponiamo per l’anno nuovo di tener conto di quante donne vengono invitate rispetto agli uomini e di chiedere a Fazio, per la prossima edizione, di prendere un annunciatore uomo al posto di Felipa e una giornalista donna al posto di Gramellini. Gli standard sono gli stessi: giovane, carino, sbarazzino nel primo caso; competente, non conformista, dotata di spessore morale nel secondo.

Perché queste trasmissioni ci sembrano esemplari?

Perché riassumono come vengono trattate le donne nei talk show. In quei salotti, le poche volte che si interpella una donna, le inquadrature indulgono sui particolari fisici, si fanno domande su temi privati, si concedono tempi brevi per rispondere (anche quando ha idee da vendere, come è successo a Michela Marzano, sempre all’Infedele), le interruzioni si sprecano soprattutto quando mostra di avere qualcosa da dire (chiedete a Concita De Gregorio a proposito dei suoi interventi a Ballarò e Annozero). La situazione precipita quando la donna invitata non risponde al canone imperante (bellezza appariscente e incompetenza), esprime un suo pensiero, interloquisce con cognizione di causa e senza farsi intimidire. L’esempio, scontato, è dato dagli appellativi che Berlusconi (“più bella che intelligente”) e Castelli (“zitella petulante”) hanno rivolto a Rosy Bindi durante una puntata di Porta a Porta. Anche in quell’occasione Bindi era l’unica donna presente; osava però sfidare la sua posizione di token criticando ad alta voce le esternazioni del premier, che rimproverava il presidente Napolitano per non averlo “raccomandato” ai giudici della Corte Costituzionale. Gli uomini (Vespa, Alfano, Castelli, Casini, Barenghi) ascoltavano in rispettoso silenzio. Col suo intervento, Bindi esibiva due qualità inaspettate e fastidiose in una donna: coraggio e competenza. Come da manuale, proprio queste qualità hanno innescato l’aggressività del premier gentiluomo.

Noi, donne della realtà, chiediamo allora maggiore attenzione ai conduttori dei programmi di intrattenimento politico. Non sappiamo perché sia così ristretta la rosa delle donne che interpellano e perché siano spesso così bassi i criteri di merito per essere interpellate (anche se quest’ultimo, a dire il vero, è un problema che riguarda uomini e donne allo stesso modo). Certo che se si vogliono trovare interlocutrici nei palazzi della politica, la rosa è veramente ristretta dati i bassi numeri delle parlamentari italiane. Ma se si intende uscire dai palazzi, perché ignorare le donne della realtà e inseguire solo le donne dello spettacolo? La prossima volta che Santoro non sa chi chiamare, possiamo fornirgli nomi e numeri di telefono di donne competenti, informate, in grado di formulare pensieri divergenti e di suggerire soluzioni inattese. La mia dentista, per esempio, saprebbe sicuramente rivolgere domande imbarazzanti ai politici. Ma forse è proprio quello che si vuole evitare…

10 thoughts on “Token show

  1. Nella mia vita sono spesso stata token. In azienda parecchi anni fa, orgogliosa di essere l’unica giovane donna manager subii moltissimi “affronti” collegati al mio essere l’unica donna, che mi suscitavano un forte malessere ma a cui non sapevo dare un nome; come conseguenza mi si scatenarono una serie di disturbi psicosomatici, molto diffusi tra le donne “di potere”. Solo con gli anni ho capito che quel malessere derivava proprio dal mio essere token, utilizzata per mostrare in pubblico che l’azienda era “moderna”: aveva assunto una donna! Tempi e metodi all’interno erano però maschili, con tutte le conseguenze del caso. Già esserne consapevoli, già potere leggere un articolo come questo e diffonderlo, è un passo in avanti. E’ importante non vivere il tokenism da sole: quando ci si trova sole in mezzo a moltissimi uomini e le battute maschiliste abbondano, accade talvolta che ci si colpevolizzi del non essere riuscite ad intervenire abbastanza o di non avere replicato con forza all’interlocutore. Parlarne significa prendere atto che i problemi derivanti dal tokenism non sono imputabili alla singola donna ma ad una mentalità maschilista che qui da noi è ancora feroce.

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  2. Grazie, Lorella, per il tuo intervento.
    Le ricerche sul tokenism sono state iniziate negli anni Settanta da Rosabeth Moss Canter preoccupata delle conseguenze negative sul benessere psico-fisico delle donne-token nei posti di lavoro. Analizzando la situazione di 20 donne, su 300 uomini, che lavoravano in una multinazionale, Canter aveva individuato una serie di “sintomi” molto simili a quelli da te descritti: disagio per essere al centro dell’attenzione, sensazione di isolamento, pressioni lavorative superiori alla norma, problemi legati agli stereotipi di genere. Risultati analoghi sono poi emersi da altre ricerche, che hanno riportato, ad esempio, l’esperienza della prima donna ammessa all’Accademia di West Point, della prima donna dirigente di una prigione maschile, delle prime donne fisico, delle donne che ricoprivano alte posizioni accademiche o politiche. Cosa fare? Anne Maass, collega e amica, uno dei nomi più rilevanti della psicologia sociale internazionale, suggerisce alle donne di non accettare di essere un token e di chiedere, quando invitate a parlare in un congresso, in televisione, ecc. di essere almeno in due. Si tratta di un primo passo. Ma da qualche parte bisogna pure cominciare…

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  3. credo che il sugerimemto di metodo resistente esposto nel contributo di Chiara Volpato abbia, oltretutto, il merito di evidenziare che una rottura “dell’ordine costituito” praticata con azioni non violente e apparentemente piccole, può essere lo stile che produce più danni al sistema.
    Mi vengono in mente le straordinarie innovazioni culturali prodotte dal femminismo degli anni 70 con quei cortei variopinti, allegri, disordinati e coloratissimi, liberi anche dalle rigide posizioni date secondo l’importanza dei partecipanti, e che, per il solo fatto di “essere così” hanno completamente affossato il simbolico maschile dello stile militaresco, squadrato grigio e compatto dei cortei politici che venivano fatti allora.
    L’importante è che questo stile femminile emerga, non importa quanto tempo ci vorrà e per quante volte non verrà accolto. Ma si deve provare. Grazie

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  4. Molto interessante e di piacevole lettura. Il tokenism è una strategia che viene adotta sistematicamente in vari contesti, non solo nei talk show in tv.
    Una buona formula di contrasto potrebbe essere quella di boicottare la visione di programmi costruiti così. Se le donne consapevoli riuscissero a cambiare canale o a spegnere la tv ogni volta che si prospetta un episodio di tokenism, magari qualcuno si convincerà che è poco pagante costruire trasmissioni così.
    Altrettanto efficace si potrebbe rivelare la diffusione più ampia possibile, anche su canali diversi dal web, delle riflessioni sviluppate dalla prof.ssa Volpato in questo articolo.

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  5. Sì, davvero interessante. Asciutto e puntuale, dà voce a una serie di riflessioni frequenti, aggiungendo la lucidità dell’analisi.
    Possiamo dare anche il nome di Chiara Volpato a Santoro e compagnia. Lo vorranno? (Personalmente le sconsiglierei di partecipare, per salvaguardare la buona salute del suo fegato…)

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  6. Me lo sono sempre detto: le donne dovrebbero ribellarsi al degrado culturale cui sono asservite. Mi fa piacere e condivido in pieno il movimento di riscatto della donna di cui vi fate sostenitrici e promotrici allo stesso tempo.
    Appoggio anch’io con convinta azione di promozione della donna nella sua globalità, a partire dalla sua dignità e dal mistero di presenza femminile di cui è provvidenzialmente portatrice.
    don Vittorino

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  7. Penso che tutto ciò rispecchia la realtà…l’italia è un paese estremamente sessista, dove le donne vengono qualificate solo dall’aspetto estetico..questo è triste più ancora quando molti dicono che in italia c’è parità di sessi e sopratutto dai maschi che ci rammentano che siamo fortunate a non essere nate in afganistan, della serie dovete ringraziarli se vi abbiamo concesso almeno la semiliberta…tristezza!!

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  8. Da tempo boicotto i programmi mediaset, tutti, per l’uso che fanno del corpo della donna. E con rammarico ho notato l’assenza di figure femminili nei programmi “guardabili” Rai: Annozero, Che tempo che fa, eccetera. Fino all’anno scorso, quest’ultimo iniziava con una lenta panoramica della telecamera sul corpo di Philipa Lagerback, dalle scarpe al viso: neanche fossimo a quel mercato delle vacche (nel senso del quadrupede) che è Miss Italia. Via via ho abbandonato tutti i talk show, resta solo Fazio e abbandonerò anche questo: non prima però di averlo inondato di mail sul perché della mia scelta.
    Chi sceglie questa strada, il boicottaggio, non dimentichi di informare i diretti interessati, perché non è vero che queste scelte sono ignorate: il pubblico è audience per la pubblicità. Pubblico = soldi. Chi sceglie di abbandonare queste trasmissioni, faccia sapere alle rispettive redazioni che si muoverà attivamente per dissuadere quante più persone possibili dal guardarle. Usiamo quel poco di potere che noi consumatori-pubblico-clienti abbiamo.

    Valeria

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  9. Pingback: Partito rosa no, ma primo ministro sì « Donne della realta's Blog

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