di Marco Patruno
Ho avuto il piacere di intervistare il regista e produttore Marco Malfi Chindemi, autore insieme a Lorella Zanardo e Cesare Cantu’ del documentario “Il corpo delle donne.” Documentario che dall’inizio dell’anno sta spopolando nel web diventando un vero proprio fenomeno. Il documentario presentato nel programma di Gad Lerner “L’Infedele” , ha dato un una vera e propria “scossa elettrica” al dibattito sul ruolo e la rappresentazione della donna nella società e nella televisione contemporanea. Basti pensare all’energico articolo di Maria Laura Rodotà “Veline, escort, maschilismo lettera aperta alle donne”(Corriere della Sera 15 settembre 2009)
Marco Patruno – Dove e quando nasce l’idea di realizzare un documentario sullo sfruttamento del corpo femminile in televisione?
Marco Malfi Chindemi – L’idea del documentario nasce a Milano, la nostra città. Nasce in un momento molto particolare, il cambiamento. Nasce da una mia idea. Io e Lorella spesso ci siamo visti per raccontarci quello che stava accadendo intorno a noi. Tante e bellissime storie, a volte terribili, che capitavano a me, a Lorella, ai nostri amici. Sempre più si è delineato un argomento che in qualche modo è diventato un comun denominatore: immancabilmente si finiva sempre a parlare di donne che rappresentano un potere fortissimo ma non riconosciuto, silente ma immancabile nel nostro palcoscenico. Le donne che noi amiamo molto, in verità sono state dimenticate, anzi sfruttate per altri fini, private della loro identità
Io e Lorella siamo due persone concrete, basta lamentarsi però, proviamo a fare qualcosa!
A un certo punto le faccio una domanda che rimarrà fondamentale: Come mai tutte le donne d’Italia non scendono in piazza protestando per come vengono rappresentate?
Ecco la domanda, poi una (articolo indeterminativo) risposta, un tentativo: forse potremmo capirlo meglio se guardiamo la TV. Lorella non la guarda, si annoia, la trova inutile e senza argomenti, falsa e povera. Io ne ho guardata tanta, tantissima, conosco il potere dell’immagine, dell’invasione educata nelle case.
Le lancio una provocazione. Guardiamo la TV per 15 giorni e vediamo se questo viaggio ci aiuta a capire meglio la situazione. Se riusciamo a trarre delle risposte o se fare un ritratto più preciso.
Era l’inizio di dicembre 2008, neanche un anno fa.
Marco Patruno – Il documentario “il corpo delle donne” sostiene che la televisione fa un uso grottesco del corpo femminile ridotto a mero oggetto sessuale dello sguardo maschile. Lei non pensa che sia un problema più intimo e profondo, cioè che i meccanismo della televisione fanno si che ridicolizzano e banalizzano tutto ciò che essa inghiottisce al suo interno?
Marco Malfi Chindemi – Certo che il problema è più intimo e profondo, ma perché ? Non siamo degli accademici ma ci arroghiamo il diritto di voler capire e la curiosità di studiare la realtà che ci circonda. E abbiamo individuato un elemento invasivo, tra i più tangibili: la rappresentazione televisiva.
La TV non deve essere vista solo come un mezzo di intrattenimento, c’è un potere assai più ampio che funziona quando la TV è spenta. Alimenta i nostri sogni, percepiamo noi stessi in altro modo, vogliamo essere lì. La TV non è solo varietà, film, pubblicità, programmi, la TV è la fonte principale o unica di informazione per l’80% degli italiani. La televisione è presente nelle case di tutti noi. Come diciamo nel documentario “le immagini televisive balzano dalla TV ed entrano nelle nostre case, alimentano le fantasie, occupano gli occhi dei nostri figli, invadono il mondo”.
Ma proprio perchè la TV inghiotte e banalizza, tutto è lecito, tutto è concesso, tutto viene dimenticato ad una velocità impressionante. La memoria viene cancellata ogni giorno. Tanto la gente domani vedrà altro, per cui tutto passa. La gente che guarda la TV è anestetizzata, invece che dormire, invece che agire, sogna. Sogna di essere famoso e ricco, che male c’è? Anche se è per 15 minuti. Ricorda la profezia di Wharol?
Ma tutto passa: Non ci è concesso il tempo della riflessione, valutare i diversi comportamenti. The show must go on, proponendo modelli vuoti che distraggono portandoci lontano da un’intelligenza critica.
L’anno scorso vedendo X Factor veniva rappresentato un “talento nascosto”, lo stesso che poi è stato intervistato nel documentario Videocracy di Erik Gandini: un bel ragazzo della bergamasca, sembra anche proprio un buono, fa l’operaio e tutti i suoi risparmi sono investiti in provini e poco altro, vuole sfondare in TV canta come Ricky Martin e si muove con Jean Claude Van Damme. Un vero disastro e per di più ridicolo. Però sostiene che in televisione un personaggio così non c’è, il suo massimo desiderio è diventare tronista dalla De Filippi, vuole a tutti i costi essere presente in TV, non c’è bisogno di fare niente, ma poi la tua vita cambia, tutti ti riconoscono: hai un’identità, sei qualcuno. Perché è successo questo? Cosa abbiamo insegnato a questo ragazzo? Che cosa ci dicono i ragazzi dei vari reality?
Marco Patruno – …Ad esempio, pensiamo al programma “la pupa e il secchione”. Noi giovani laureati italiani, umanisti e ingegneri ne uscivano davvero male. Rappresentati con la tipica pancetta di chi è sedentario, ridicoli di fronte alle prove fisiche ecc Non era certamente una rappresentazione edificante che usciva dallo schermo del laureato italiano, che cosa ne pensa?
Marco Malfi Chindemi – Non so esattamente cosa pensare? Mi sembra molto lontano dalla realtà e mi sembra assolutamente marginale. Forse basterebbe leggere qualche articolo di giornale, le statistiche della comunità europea, gli studi nazionali e internazionali sullo spaccato sociale per farle capire come siamo tornati indietro.
Forse siamo un popolo immaturo che ha bisogno di alcuni modelli per identificarsi. Ma cosa è rimasto di quel programma: i Secchioni sono stati persi di vista, le Pupe continuano a lavorare in TV. Le Pupe guadagnano più soldi dei Secchioni, credo. Ma vede non è questo il punto, il punto è che ci siamo ridotti a valutare le persone in base a criteri primitivi di soldi e potere, fama e oblio. Possibile che non siamo stati capaci di creare modelli alternativi? La televisione ha il suo fondamento nel far credere che chiunque possa essere protagonista, e questo è vero, il problema però è che andare in televisione è lo scopo ultimo per garantirsi il paradiso in terra, non è vissuto come una tra le mille esperienze che un uomo o una donna possono fare. La televisione è un mezzo di comunicazione non il fine. In quanto mezzo poi è sempre un’esperienza mediata, mi verrebbe da dire (non sempre ovviamente) “falsificata”.
Marco Patruno – Intravedo nel documentario, un pensiero di fondo. La donna è vittima, l’uomo è sempre e comunque il carnefice. Non pensa che ci siano alcune donne che sono al contempo vittime e carnefice di se stesse? E che quest’ultime hanno accettato consapevolmente e nel pieno delle loro facoltà di esercitare il loro potere sugli uomini attraverso il loro corpo?
Marco Malfi Chindemi No guardi la prima parte è sbagliata, l’uomo non è il carnefice e la donna non è vittima, la società ha lavorato per rafforzare questa contrapposizione. In verità penso che la società abbia fatto un lavoro più raffinato. Abbia creato dei modelli di comodo per chiunque. La Pupa, le veline, le letteronze sono donne intelligenti che hanno saputo sfruttare a loro vantaggio il momento. Facciamo sempre l’esempio di Sara Tommasi, laureata, “dopo 4 anni di studi alla Bocconi sono stata manager in una grande azienda. Oggi sono io il prodotto, un prodotto che vendo nel mercato dello show business”.
Gli uomini hanno esercitato il ruolo di sultani, hanno scelto quello che fa più comodo. La donna ha assecondato questo desiderio.
Marco Patruno – Secondo lei, quale dovrebbe essere la ricetta ideale per una tv di qualità? E non pensa che si dovrebbe fare più una “battaglia” incentrata sul concetto di meritocrazia?
Marco Malfi Chindemi La radice finale è proprio la meritocrazia che in Italia è parola vuota, anzi non se ne conosce il significato. Peggio delle parolacce. Quando ho iniziato a fare questo lavoro pensavo di essere ormai un vecchio decrepito e anche un po’ stantio, noioso e petulante, stavo perdendo tempo ancora nella contrapposizione tra uomo e donna, cercando di spiegare o evidenziare alcuni temi di fondo sulla mancata parità. Sono del 1970 e pensavo vivamente che la competizione, il confronto, le prospettive fossero una conquista del mercato libero paritario tra uomo e donna. Mi sbagliavo di grosso. Sono ancora fermo a quel desiderio. Siamo ancora più indietro. E io mi sento giovanissimo.